di Matteo Zola
La Russia non ci sta
Un attacco contro l’Iran sarebbe “un errore molto grave e dalle conseguenze imprevedibili”: a lanciare l’avvertimento, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, all’indomani delle dichiarazioni del presidente israeliano Shimon Peres. Peres ha infatti detto che un intervento militare contro Teheran si avvicina ed è “sempre più probabile”, Lavrov ha sottolineato che “il problema nucleare iraniano, al pari di qualunque altro problema nel mondo moderno”, non può essere risolto “con un intervento militare”. Già ieri il ministro degli Esteri francese aveva dichiarato che un attacco militare contro le installazioni nucleari iraniane creerebbe una situazione “totalmente destabilizzante”.
L’Iran e gli scenziati stranieri
Anticipando il rapporto dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) che verrà diffuso questa settimana, il quotidiano americano Washington Post ha riferito: “l’Iran è stato in grado di superare tutti i problemi tecnici cruciali sulla via dello sviluppo di armi nucleari grazie all’assistenza ricevuta da scienziati stranieri“. Un malcelato riferimento ai russi che da anni mantengono profiqui rapporti commerciali ed energetici con l’Iran. Già due giorni fa era trapelato che gli ispettori dell’Aiea avrebbero raccolto le prove dell’esistenza a Parchin, una trentina di chilometri a sud-est di Teheran, di un impianto utilizzato per la sperimentazione di esplosivi ad alto potenziale, utilizzati come innesco per testate atomiche. Adesso emergerebbe anche che un non meglio identificato esperto in armamenti sofisticati, originario dell’ex Unione Sovietica, avrebbe istruito i colleghi iraniani sulla confezione di detonatori a elevata precisione, del tipo impiegato per avviare il processo di reazione nucleare a catena.
Indiscrezioni che rimbalzano
Quella dell’attacco militare nei confronti dell’Iran è notizia che ha dell’incredibile. Tutto è cominciato lo scorso 2 novembre, quando un articolo del Guardian, citando fonti militari, scriveva che il governo britannico sarebbe pronto a sostenere un attacco statunitense all’Iran, un attacco supportato dagli Stati arabi del Golfo, come hanno già evidenziato alcuni cablogrammi di Wikileaks. I quotidiani israeliani hanno ripreso la notizia e hanno confermato che il governo di Benjamin Netanyahu ha piani di attacco all’Iran sempre aggiornati nel cassetto della scrivania del ministro della Difesa. Il 4 novembre scorso il presidente francese Nicolas Sarkozy si è detto scettico sull’opzione militare che comunque “non è da escludere”. La posizione francese è infatti quella delle sanzioni internazionali all’Iran. Dal canto suo Teheran nega di avere in costruzione l’arma atomica.
Prove satellitari
Sulle “prove” dello sviluppo di un programma nucleare a scopi bellici da parte di Teheran (foto satellitari) c’è da dubitare. Il precedente più clamoroso è quello delle armi di distruzione di massa, mai trovate, su cui si è legittimata la seconda guerra in Iraq. Anche per il recente intervento in Libia si è vagheggiato tale rischio ma ad oggi quel che si sa è che erano i missili Tomahawk lanciati su Tripoli a contenere uranio impoverito. Insomma, visti i precedenti il dubbio è più che legittimo.
I rapporti tra il Cremlino e Teheran
La Russia ha per lungo tempo venduto missili a Teheran e forse continua a farlo in barba alle pressioni internazionali: missili terra aria S300, Strela 2, e sistemi SA 15, SA 16 ed SA 18. Tutti gingilli che gli iraniani possiedono e che – almeno in un caso – vengono dalla Russia attraverso una triangolazione con Minsk. Nell’agosto scorso il segretario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale russo, Nikolai Patrushev, si era recato in visita a Teheran avviando formalmente le trattative tra i cosidetti “5 più 1” (Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e Gran Bretagna più la Germania) e il governo di Teheran. Trattative che avrebbero dovuto portare a un piano di sviluppo condiviso per l’energia nucleare a scopo civile.
La strategia del Pentagono
L’energia nucleare è fondamentale per l’Iran che vede le sue risorse petrolifere in via di riduzione. Fondamentale non solo per l’autonomia energetica presente e futura: tra gli strumenti di governo del regime degli Ayatollah ci sono i sussidi che vengono dati alle fasce più povere della popolazione che -non a caso – è il bacino di consenso del regime. Un consenso “comprato” con sussidi che provengono dalla vendita di petrolio. Al Pentagono, finora, ci si era limitati ad attendere: finito il petrolio, cadrà il regime. Lo sviluppo di un piano alternativo, fondato sul nucleare, potrebbe fare dell’Iran un esportatore di energia consentendo al regime di sopravvivere, chissà per quanto, al mutato quadro energetico. Sempre se nel frattempo le spinte democratiche, presenti in seno alla società iraniana (una società complessa, moderna, con un ceto intellettuale colto e raffinato, una classe media democratica e laica, simile a quella egiziana) non riusciranno nell’ardua impresa di rovesciarlo dall’interno.
Se l’ipotesi di un attacco all’Iran sono da prendersi sul serio, assisteremo all’ennesima esportazione di democrazia?
Perchè dite “consenso comprato con i sussidi”? E’ riprovevole dare sussidi ai poveri? E’ meglio fare come negli Usa dove chi è povero “sono cazzi suoi”? Anche la Democrazia cristiana, in Italia, dava sussidi ai poveri. Qualcuno ha mai proposto, per questo, di bombardarla?