di Matteo Zola
Tre soli casi, e i morti furono migliaia, ma potrebbero aprire la strada ad altre rivendicazioni dei parenti delle vittime ora che finalmente le responsabilità vengono a galla. L’eccidio di Srebrenica fu anche colpa dei soldati olandesi. Per arrivare a questa conclusione ci è voluto il coraggio di tre famiglie bosniache, quelle di Rizo Mustavic, di Mohamed Nuhanovic e del padre, che avevano fatto causa e che, nel 2008, videro respinta la loro istanza dal tribunale dell’Aja che in primo grado aveva escluso ogni responsabilità del governo olandese. Ora però la sentenza d’appello ribalta tutto. «La Corte ha stabilito che lo stato olandese è responsabile per la morte di questi uomini in quanto il Dutchbat (i caschi blu dell’Onu olandesi, ndr) non li avrebbe dovuti consegnare» alle truppe serbo-bosniache. Così la Corte d’Appello di Amsterdam sigla una sentenza storica.
Secondo il Tribunale i tre bosniaci uccisi erano collaboratori dei caschi blu olandesi e quando sono rimasti intrappolati a Srebrenica insieme alle altre ottomila persone le forze olandesi non potevano non sapere che erano in pericolo di vita. Secondo le denunce dei familiari, furono gli stessi caschi blu ad abbandonarli, invece di portarli via durante la ritirata. Abbandonati insieme ad altre ottomila persone che a Srebrenica avevano trovato rifugio “protetti” dall’Onu che lì aveva istituito una safe area per i profughi musulmani.
Invece, quando l’undici luglio di sedici anni fa le truppe del generale Ratko Mladic entrarono in città, non incontrarono nessuna resistenza. In quattro giorni massacrarono migliaia di civili mentre gli olandesi se ne andavano cantando “torniamo a casa”. Il governo olandese rifiutò di offrire copertura aerea alle sue truppe che dotate solo di armi leggere e sotto il fuoco delle milizie di Mladic, abbandonarono l’enclave spalancando la porta al massacro dei civili.
La sentenza del processo d’appello non fa sconti: «Il battaglione Dutchbat era stato testimone di svariati incidenti in cui i serbi avevano maltrattato o ucciso profughi maschi all’esterno degli acquartieramenti. Gli olandesi perciò sapevano che quegli uomini sarebbero stati in grande pericolo se avessero lasciato gli stessi acquartieramenti». Gli olandesi sapevano. E benché il mandato Onu ponesse dei limiti all’intervento militare, si legge ancora nella sentenza, la situazione in quell’area era «fuori dell’ordinario» e il battaglione olandese già pesantemente coinvolto, perciò ormai responsabile di quanto accadeva intorno.
La sentenza di oggi potrà agevolare anche la causa avviata dalle «madri di Srebrenica» – che rappresenta seimila donne che hanno hanno perso figli, mariti e fratelli – contro le Nazioni Unite, accusate di non avere fatto ciò che si erano solennemente impegnate a fare: garantire la sicurezza di Srebrenica.
Ora che l’Olanda è stata condannata dai suoi stessi giudici, e Ratko Mladic è sotto processo al Tribunale dell’Aja, si può finalmente dire ad alta voce quanto in molti già da tempo sussurravano: certo la Serbia ha avuto gravissime responsabilità, che ha pagato e sta pagando, ma il reiterato veto olandese all’adesione di Belgrado all’Unione era ipocrita. Inoltre le responsabilità di quanto avvenuto nella ex-Jugoslavia è da cercarsi anche nelle stanze dei bottoni dell’Europa “occidentale” che è rimasta a guardare senza intervenire. Se davvero vogliamo costruire una Europa “unita” occorre costruire anche una memoria storica condivisa, ammettendo colpe e responsabilità, superando gli steccati del pavido particolarismo. Questa sentenza, crediamo, va in quella direzione.
francesi e inglesi hanno molti bosniaci sulla coscienza…
erano loro gli amici di belgrado…
e anche noi non scherzavamo…