L’ultima dittatura
La Bieolorussia del presidente Aleksandr Lukashenko è l’ultima vera dittatura d’Europa, che la governa con pugno di ferro dal 1994. Negli ultimi quindici anni un regime soffocante ha sostituito l’embrionale democrazia dei primi anni ’90. L’onnipotente amministrazione presidenziale controlla tutti gli aspetti della vita sociale, dai mass media (quasi interamente sotto il controllo statale) all’economia, che rimane pianificata e nazionalizzata. Un vasto apparato di polizia, con tanto di Kgb old-fashioned, instilla paura e apatia nei bielorussi, mentre i dissidenti e gli attivisti della società civile devono subire vessazioni, pestaggi, multe e incarcerazioni. Alcuni importanti esponenti dell’opposizione sono scomparsi senza lasciare traccia, mentre le elezioni sono truccate, come denunciato ripetutamente dall’Osce. Nel frattempo il limite al numero di mandati presidenziali è stato abolito, il che potrebbe consentire a Lukashenko di governare vita natural durante.
Un’effimera apertura democratica
Da quando Lukashenko è salito al potere, l’Unione Europea ha congelato i rapporti diplomatici ed economici con Minsk allo scopo di costringere il regime ad aperture democratiche in cambio della possibilità di commerciare con l’Europa. La pressione politica ha prodotto nel 2008 qualche risultato: diversi prigionieri politici sono stati liberati e le elezioni parlamentari si sono svolte in un clima più libero. Si è permessa l’apertura di giornali indipendenti, mentre alcune dichiarazioni governative sulla possibile liberalizzazione dell’informazione e sulla riforma della legge elettorale hanno fatto pensare che si fosse alla vigilia di un cambiamento democratico.
I rapporti con la Russia
La Bielorussia però occupa una posizione geopoliticamente rilevante, rappresenta il confine orientale della Ue e funge da cuscinetto tra quest’ultima e la Russia. L’intervento della Russia in Georgia è stata interpretata a Minsk come una potenziale minaccia all’indipendenza della Bielorussia. Mosca, che aveva finanziato a lungo Lukashenko, ha infatti cambiato atteggiamento nell’ultimo periodo: ha chiesto di entrare nel capitale delle imprese dei settori strategici dell’economia bielorussa, ha aumentato il prezzo del gas e del petrolio fornito a Minsk e ha minacciato di chiudere il proprio mercato ai prodotti bielorussi. A questo si aggiunge la questione dei gasdotti: la nuova politica energetica euro-russa salta a pié pari gli intermediari bielorussi e ucraini.
La debolezza dell’Unione Europea
In questo clima, l’apertura con l’Ue si è rivelata necessaria. Un’apertura effimera a cui l’Unione ha subito abboccato, ansiosa com’era di nuovi mercati. Ancora una volta l’Europa ha così dimostrato la sua scarsa capacità (e volontà) politica limitandosi ad essere un’unione economica e mercantile.
Le retoriche che hanno accompagnato le celebrazioni del ventennale per la caduta del Muro di Berlino si sono impreziosite di proclami democratici per la salvaguardia dei diritti umani, ma sono solo vuote retoriche se l’Europa è pronta a svendere i propri valori per un tozzo di pane. E di questa svendita, Minsk si è presto resa conto fermando le aqperture democratiche cui era stata poco prima costretta, ributtando in carcere i leader dell’opposizione e soffocando ogni voce di dissenso.
Berlusconi e l’ipocrisia
Il presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, è stato il primo leader politico europeo a recarsi in viaggio in Bielorussia, il 30 novembre scorso, squarciando il velo dell’ipocrisia che regolava i rapporti tra Bruxelles e Minsk. Un’ipocrisia che, in luogo ad un effettivo appeasement economico, continuava a mostrare un’ostilità politica smentita dai fatti. Ecco allora che il protagonismo del premier italiano si traduce in uno svelamento dell’incoerenza europea i cui leader, infatti, non hanno saputo né potuto replicare all’ennesimo colpo di testa dell’italiano, mosso da una realpolitik che poco si cura (all’estero come in patria) dei valori democratici.
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