Il 17 aprile si è svolto a Ginevra l’incontro a quattro tra Russia, Stati Uniti, Ucraina ed Unione Europea per fare il punto sulla crisi ucraina e provare a trovare vie di uscita. Durante la settimana questo incontro era stato presentato più volte, nei momenti in cui non si è minacciato di farlo saltare, come il luogo dove provare a mediare le diverse posizioni e dove magari trovare una soluzione alla crisi.
Al termine dell’incontro è stato approvato un testo condiviso che presentasse i risultati della giornata:
- disarmo di tutti i gruppi armati illegali
- restituzione degli edifici occupati ai legittimi proprietari (sic!), sgombero di strade, piazze ed ogni luogo pubblico occupato
- amnistia per i manifestanti che non si fossero resi colpevoli di reati gravi
- un processo costituzionale tendente verso una maggiore inclusività delle regioni
- un ancora maggiore coinvolgimento dell’OSCE.
Molti, a distanza di pochi minuti dal raggiungimento dell’accordo, hanno espresso parole positive, sottolineando l’importanza dei temi trattati e la convergenza sulle posizioni, ma al trascorrere delle ore lo stesso accordo è stato fonte di scontri verbali e accuse.
La Russia ha interpretato a suo favore il testo sostenendo che il disarmo è primariamente rivolto verso Pravi Sektor, gruppo protagonista degli scontri del Maidan, vicino alla nuova compagine governativa e definito da molti antisemita. Da Mosca hanno altresì sottolineato che il punto di maggior importanza sarebbe l’accettazione di riforme costituzionali, ed eventualmente di un referendum, che spingano verso l’autonomia le regioni dell’Est.
Gli Stati Uniti hanno confermato che le sanzioni proseguono e che sono collegate all’azione russa in Crimea. L’Ucraina pur aprendo alla concessione di uno status speciale alle regioni di Donetsk e Lugansk attraverso le parole del Presidente Turchinov e del premier Yatseniuk, continua l’azione antiterrorismo nelle regioni orientali, interpretando il testo completamente a suo favore. L’Unione Europea non ha chiaramente un’opinione ferma, ma in questo caso forse avrebbe solamente aumentato l’incertezza attorno a questo testo.
Nel frattempo i miliziani filorussi hanno però fatto presente che per loro l’accordo non ha alcun valore, che loro proseguono l’azione e che potrebbero valutare una sospensione delle proteste solo in caso di indizione di un referendum, da svolgersi solo in quei territori, sullo status delle regioni di Donetsk e Lugansk e qualora il Governo “illegittimo” si dimettesse.
L’accordo si presta quindi a grossa confusione; disarmo dei gruppi armati: ma chi sono questi gruppi armati? Restituzione degli edifici ai proprietari legittimi: ma se poi tutti si definiscono legittimati? E ancora, riforme costituzionali, ma di che genere? E poi: ma davvero crediamo che l’OSCE, Organizzazione internazionale con molti limiti, possa portare effetti positivi attraverso il dispiegamento di una missione, già in parte operativa, dove operino fianco a fianco russi e americani inviati dai loro governi?
Un testo pilatesco, che dice tutto e dice nulla, che può essere interpretato a favore di ognuna delle parti in causa e che in concreto non obbliga a nessuna azione. Ecco di cosa stiamo parlando. Il risultato quindi è che si siano seduti attorno ad un tavolo, senza urlarsi addosso e senza andare via sbattendo la porta. Già un punto di partenza.
Dato che sono in Ucraina vi posso dire che l’aria che tira indica con chiarezza che nessuno sgombererà un bel nulla. Da martedì inizieranno le prove di forza il che significa ALTISSIMO RISCHIO e ho l’impressione che parte del popolo (almeno qui a Kiev) non si reda bene conto di quanto tale rischio sia elevato.
Più il tempo passa, più diventa chiaro l’impasse in cui si è impegolato Putin con la sua politica neoimperialista.
Che dall’incontro di Ginevra non potesse uscire niente di concreto, era stato chiaro dal momento in cui i filorussi locali e Putin a Mosca, si smarcavano e/o sconfessavano quanto andava dicendo il ministro deli esteri, ammesso e non concesso che quest’ultimo pensasse realmente quello che stava sottoscrivendo….
Di sicuro nel Donbass non si può ripetere la marcia rapida, indolore e trionfale “a la mode” della Crimea: ostano le differenti situazioni geografiche e le differenziate “concentrazioni” etniche.
Uscita la Crimea, in Ukraina i rimanenti 7 milioni di russi etnici rappresentano, su una popolazione totale di circa 40 milioni poco meno del 20% sparsi su un vasto territorio e con concentrazioni ben lontane da quelle della Crimea, tranne che in pochissimi e non contigui Raion: perfino l’autoproclamata repubblica di Donetsk, a differenza della Crimea, non è abitata in maggioranza da russi. Mentre nella città di Donetsk il 48,15 per cento della popolazione è formata da russi e il 46,65 per cento da ucraini, la regione di Donetsk è a netta maggioranza ucraina (56,9 per cento, contro il 38,2 per cento di russi). Senza contare che i russi etnici non sembra che siano particolarmente compatti circa il ritorno alla Madre Patria.
Non a caso si continua a invocare da parte delle quinte colonne russe nell’est dell’Ukraina, “interventi” militari dei fratelli russi, non certo referendum che potrebbero rivelarsi imbarazzanti per Putin.
Senza contare che quest’ultimo non vuole certo qualche oblast, per quanto ricco, in più ma vorrebbe riportare tutta l’Ukraina sotto il controllo russo. I “disordini” nell’est servono solo a cercare di destabilizzare e influenzare il governo centrale a Kiev, soprattutto in vista delle elezioni di maggio. Quindi fiammanti bandiere, roboanti dichiarazioni ad uso interno e tintinnare di spade, ma ben attenti a non spaccare l’Ukraina: uno sforbiciato e umiliato stato ukraino, non potrebbe che appoggiarsi agli USA e all’UE e rivelarsi un devastante boomerang per l’autocrate del Kremlino.