EDITORIALE – L’accordo dello scorso 21 aprile tra Ucraina e Russia segna il passo alle strategie geopolitiche continentali. Un unico accordo risolve due questioni aperte: quella della fornitura di gas russo e quella della flotta dell’Armata Rossa ancorata al porto di Sebastopoli. Si è trattato, in sostanza, di uno scambio che riconsegna Kiev tra le braccia del Cremlino.
L’Ucraina è perduta. Perduta ai più genuini europeisti, come chi scrive, ma anche agli interessi strategici della Nato che, specialmente all’epoca di Bush figlio, coltivarono l’ambizione di estendere il Patto Atlantico fino al Mar Nero. Obama, pur non rinunciando formalmente a tale progetto, ha più realisticamente preferito arroccarsi su posizioni consolidate, militarizzando con i confini di Romania e Polonia. E proprio la Polonia, che non ha mai nascosto ambizioni egemoniche su Kiev, si trova ora a dover rifare i conti, anche alla luce della tragedia di Smolensk che ha ucciso quella parte della classe dirigente da sempre favorevole ad una politica estera aggressiva.
L’accordo tra Mosca e Kiev risolve, in un sol colpo, due problemi che la presidenza di Yushenko aveva lasciato aperti. Quello le forniture di gas russo all’Ucraina e la presenza della flotta da guerra dell’Armata Rossa nella base di Sebastopoli. In sostanza si è trattato di uno scambio. Mosca farà un grosso sconto a Kiev, pari a circa il 30%, sul prezzo del gas e l’Ucraina lascerà alla Russia l’uso della base di Sebastopoli per altri 25 anni dopo la scadenza del contratto d’affitto attualmente in vigore (valido fino al 2017). Il risparmio previsto per l’Ucraina è calcolato in circa 40 miliardi di dollari. Un risparmio che costa a Kiev la perdita di una fetta della sua sovranità. Infatti Mosca non otterrà solo l’utilizzo della base di Sebastopoli, ma verrà coinvolta anche nel grande progetto di risistemazione della rete di gasdotti ucraini, varato l’anno scorso da Kiev in collaborazione con l’Unione Europea. In tal modo Mosca aumenterà considerevolmente il suo controllo sull’intera rete, presentandosi per i prossimi decenni come fornitore unico di gas all’Europa. Se a Parigi, Berlino e Stoccolma vorranno scaldare le proprie case, dovranno bussare al Cremlino, con evidenti ripercussioni sulla politica estera.
L’egemonia sul Mar Nero da parte della flotta russa -e relativo controllo sul traffico di petrolio proveniente dal Caucaso- preoccupa la Romania di Basescu (che ha già chiesto aiuto militare alla Nato) e non fa dormire sonni tranquilli alla Georgia di Saakashvili -sempre più isolata.
Anche in Ucraina c’è chi non vede di buon occhio l’accordo con il Cremlino. Il contratto infatti dovrà essere ratificato dalla Duma e dalla Rada. E se non ci sono dubbi che il parlamento russo lo approverà, non è altrettanto certo l’esito del voto alla Rada ucraina. Non solo l’opposizione, ma anche i nazionalisti dello stesso partito di Yanukovich non sono favorevoli a una così cospicua perdita di sovranità. In ogni caso, dopo che la “rivoluzione arancione “ è fallita nella crisi economica, la Russia è tornata ad essere l’unica alternativa possibile. L’abbraccio di Mosca potrebbe però tradursi in una stretta mortale per la fragile repubblica. Una stretta che potrebbe causare, sul medio termine, uno smembramento del Paese. E se di spartizione si è vociferato da più parti, la partita per l’Ucraina non è ancora chiusa. Una partita che nel risiko delle grandi potenze si gioca sulla testa dei piccoli stati.
M. Z.
Quella foto del leader Russo aggiunta alla frase “tragedia di Smolensk che ha ucciso” determina la vostra imparzialità giornalistica..