Dinamo Zagabria contro Partizan Belgrado. Stella Rossa contro Hajduk Spalato. Olimpia Lubiana contro Željo Sarajevo. Sembra di leggere i risultati del campionato jugoslavo 1990/1991, l’ultimo che si disputò prima della dissoluzione della Jugoslavia. Invece potrebbe essere la prima giornata della “Lega Balcanica”, un campionato che riunirebbe le 16 principali squadre di calcio della regione, provenienti da 8 paesi, con inizio previsto nel 2015.
Non è una boutade di qualche tifoso annoiato, né la sparata di uno jugonostalgico frustrato. E’ un progetto dell’UEFA, l’organo ufficiale del calcio europeo. Una cosa seria, insomma. La notizia è stata pubblicata dal settimanale croato Globus ed è stata ripresa subito da tutti i media della regione. Secondo Globus, il progetto sarebbe stato illustrato in un incontro ufficiale organizzato dall’UEFA (ma non reso pubblico) tenutosi il 17 e 18 settembre scorsi a Budva, in Montenegro. All’incontro avrebbero partecipato, oltre ad alcuni dirigenti UEFA, i rappresentanti delle federazioni calcistiche di otto paesi: le sei repubbliche ex-jugoslave (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Serbia, Montenegro e Macedonia), più Bulgaria e Ungheria. A sostegno del presunto scoop Globus ha citato “fonti vicine all’UEFA”. Va detto però che né quest’ultima, né le rispettive federazioni nazionali, hanno confermato ufficialmente la notizia.
La “Jugosfera” sportiva
Le ragioni d’interesse per questo progetto sono evidenti. Un campionato balcanico innalzerebbe decisamente il valore tecnico-agonistico del calcio locale, rispetto a quello oggettivamente misero delle attuali micro-leghe nazionali. Un livello oggi incomparabile non solo con il vecchio e glorioso Prvenstvo Jugoslavije, ma anche con tanti campionati di altri paesi centro ed est-europei odierni. Gli 8 paesi dell’ipotetica balkanska liga, messi assieme, superano i 30 milioni di persone: il progetto attirerebbe grandi volumi di sponsor e pubblico, garantirebbe ai club una degna visibilità internazionale e frenerebbe la cronica fuga all’estero dei migliori talenti locali (basta vedere le formazioni delle rispettive nazionali ex-jugoslave: pochissimi – in alcuni casi nessuno – giocano in patria).
Un campionato balcanico avrebbe probabilmente un grande impatto simbolico, riattivando tramite lo sport un immaginario comune dei paesi ex-jugoslavi. Non è un caso che proprio l’articolo pubblicato da Globus parli di “nascita della Jugosfera calcistica”. Riprende così quel concetto di “Jugosfera”, coniato dal giornalista Tim Judah per definire la crescente integrazione tra i paesi ex-jugoslavi sviluppatasi negli ultimi anni, attraverso il recupero (molto più “spontaneo” e dal basso che instituzionale) delle relazioni economiche e della comunanza linguistico-culturale.
La proposta di un campionato di calcio balcanico non è affatto nuova. Innanzitutto, va ricordato che la “Jugosfera sportiva” è già stata testata, con successo, in altre discipline. Da più di dieci anni esiste la Lega Adriatica di pallacanestro e tre anni fa è stata creata la sua equivalente della pallanuoto. Non a caso, sono due discipline in cui la Jugoslavia era ai vertici mondiali sia con le nazionali che con i club (e lo sarebbe ancora di più oggi, se esistesse ancora). Le società dei rispettivi paesi hanno quindi accantonato i rancori nazionali(sti), ben sapendo che tornei competitivi avrebbero permesso di tenere testa ai club dell’Europa occidentale, ma soprattutto di battere cassa con le maggiori entrate derivanti da pubblico, sponsor e diritti TV.
L’idea di un campionato di calcio multi-nazionale – accarezzata persino dall’l’ex-presidente serbo Boris Tadic) circola da molti anni con diverse modalita’ e paesi coinvolti. L’Agenzia FARE-Balkan presentò la propria proposta nel gennaio 2011: 22 squadre da 11 paesi, ma con ammissione riservata ai club medi o piccoli della regione balcanica. Alcuni mesi dopo, una rete di club (tra cui il Partizan Belgrado) presentò un progetto di “Lega del sud-est europeo” che riunisse le migliori squadre di Bulgaria, Grecia, Romania e Turchia e Serbia. A parte questi ultimi, il resto dell’ex-Jugoslavia sarebbe rimasto fuori. Ma di quei progetti, nonostante le insistenti voci sui media regionali, non se ne fece più nulla.
Perché no?
E allora, qual è il problema di un eventuale campionato di calcio “neo-jugoslavo”? Tralasciamo per un attimo le prevedibili gelosie delle rispettive federazioni nazionali, ciascuna desiderosa di preservare il proprio orticello di campionatini e coppette – a cui corrispondono influenze politiche, giochi di potere, giri di corruzione e tanti “eccetera”. Il problema vero è un altro, ben difficile da affrontare.
Si chiama ordine pubblico. Un campionato balcanico implicherebbe, a ogni partita, lo spostamento di gruppi ultras da un paese all’altro, molti dei quali imbevuti di ultranazionalismo e smaniosi di recuperare le rivalità storiche dentro gli stadi. Forse non serve nemmeno riportare alla memoria l’episodio più noto, i celeberrimi scontri al Maksimir di Zagabria tra gli ultras della Dinamo e quelli della Stella Rossa di quel maledetto 13 maggio 1990, citati fino alla nausea come antecedente della guerra serbo-croata. Basta citare un episodio meno conosciuto, ma più recente e significativo: il 6 ottobre 2011, a Sarajevo si sarebbe dovuta disputare un’amichevole tra i locali del Željezničar e l’Hajduk Spalato, due squadre non contraddistinte da rivalità particolari (i due club erano addirittura gemellati) benché appartenessero a diverse nazionalità. Eppure, un attacco improvviso dei tifosi dell’Hajduk contro i sarajevesi degenerò in una vera guerriglia urbana fuori dallo stadio, che obbligò le società ad annullare l’incontro.
Quell’episodio – così come innumerevoli altri – dimostrò non solo la fervida propensione degli ultras allo scontro in chiave nazionale, ma anche l’assoluta inadeguatezza delle forze di polizia bosniache e croate per coordinarsi, prevenire ed affrontare situazioni di questo tipo. C’è da scommettere che né le istituzioni, né le forze di polizia dei vari paesi non abbiano né la volonta’, né i mezzi (per ora) per sorbirsi la gestione di contesti tanto delicati. Non è un caso che persino Ivica Osim, leggendario ex-allenatore dell’ultima nazionale jugoslava ed oggi reggente della federazione bosniaca, si sia dichiarato molto scettico sul progetto, commentando: “Il più grande ostacolo è la sicurezza. […] L’idea della Lega Balcanica è allettante, ma la vita lo è ancora di più”.
Non è detto, però, che la Lega Balcanica di calcio sia affossata per sempre. L’idea non smetterà di serpeggiare tra gli addetti ai lavori e gli appassionati, senza contare le possibili varianti applicabili per rendere più facile l’avvio del progetto ed evitare possibili incidenti. Le alternative non mancano: scegliere squadre intermedie e tenere fuori le big? Coinvolgere anche altri paesi per allentare le tensioni? Iniziare con un torneo-pilota dei settori giovanili?
Prima o poi, la febbre dei potenziali guadagni supererà la paura delle eventuali conseguenze conflittive. Oppure obbligherà a trovare i mezzi per gestirle. Allora i tempi saranno davvero maturi per rivedere le “nobili decadute” del calcio balcanico affrontarsi, di nuovo, sullo stesso campo.
Ben scritto e chiaro. Se ne parla da tempo, anche Josipovic e Tadic provarono a proporre la cosa. Purtroppo temo che non se ne farà niente. Il calcio non è come il basket o la pallanuoto…Suscita più sentimenti, impone spese maggiori. Forse tra vent’anni.
Matteo
Purtroppo sono d’accordo con Matteo.
Troppo sangue, troppo odio, troppe memorie dividono popoli sventurati.