La battaglia è finita. Janez Janša, primo ministro sloveno, è stato sfiduciato dal parlamento. Ha resistito per settimane, respingendo le richieste di dimissioni che arrivavano in particolare dalle piazze, piene di manifestanti da mesi. Protestano contro l’austerità, la corruzione, la cattiva politica, la crisi: quella crisi che ha avuto un peso determinante nell’affossare il conservatore Janša, e che lui stesso lascia in eredità a chi prende il suo posto.
Per la prima volta nella storia del Paese il capo del governo incaricato è una donna. Alenka Bratušek, leader del partito di centrosinistra Slovenia Positiva, deve riuscire a formare un esecutivo entro due settimane, altrimenti si andrà al voto. Se riuscirà a evitare le elezioni, il nuovo primo ministro si troverà ad affrontare difficoltà economiche pesanti: disoccupazione al 12% (come l’Italia) e banche sull’orlo del collasso, tanto che il governo ha dovuto varare un piano di emergenza che prevede una ricapitalizzazione da 4 miliardi.
Lo schema con cui gli istituti di credito sono rimasti al verde non è nuovo: negli anni in cui l’economia girava hanno prestato somme importanti ai settori immobiliare ed edile, che – colpiti dalla crisi – non sono riusciti a restituire tutto. Se il salvataggio del sistema bancario (pagato coi soldi dei cittadini) dovesse fallire, il rischio è che Lubiana debba chiedere aiuti internazionali: e se gli sloveni sono stufi delle misure di austerità già approvate dal loro governo, figuriamoci come accoglierebbero i nuovi provvedimenti che Bruxelles potrebbe pretendere
Foto: EPP, Flickr
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