Dopo 24 anni da quel 12 settembre 1989, la democrazia polacca perde il suo padre nobile: Tadeusz Mazowiecki, il primo premier non comunista dell’intero blocco orientale, chiamato allora a dirigere un paese che iniziava a muovere i primi passi verso la democrazia.
Mazowiecki è morto ieri mattina a 86 anni, un età che non gli aveva impedito finora di continuare a svolgere una vita politica molto attiva quale consigliere dell’attuale Presidente Komorowski e di pubblicare, l’anno scorso, le sue memorie sugli anni della transizione.
Uomo di lettere, per molti anni direttore del mensile cattolico letterario Więź e tra le figure chiave di Solidarność, Mazowiecki venne eletto primo ministro dopo le elezioni del 1989, frutto di un compromesso epocale tra il regime comunista e l’opposizione di Solidarność. In uno scenario a dir poco complicato, Mazowiecki rappresentò per 16 mesi il volere dei polacchi di fianco al presidente Wojciek Jaruzelski, capo di stato durante la legge marziale e scelto a garanzia della continuità col precedente regime. Il patto non impedì ai polacchi di percepire Jaruzelski come un presidente distante che mai avrebbero rieletto, e di contrapporvi un premier finalmente “loro” sotto tutti i punti di vista.
Il “vostro” presidente, il “nostro” premier
Mazowiecki rimaneva tutt’oggi uno dei personaggi politici polacchi più amati, e senz’altro il protagonista più apprezzato della transizione, anche per quell’aria pacata ed elegante che lo contraddistingueva, e che gli fece affibbiare in più occasioni l’etichetta di premier timido. Un premier timido che però seppe guidare il paese verso la transizione economica, nuove relazioni diplomatiche con Unione Sovietica e Germania, la riforma graduale dell’ordinamento dello stato e un nuovo concordato con la chiesa cattolica, fortemente voluto in un paese in cui, il laicismo di stato imposto mal soddisfaceva una popolazione in cui i cattolici sfiorano il 90 per cento.
Dotato di un pacato senso dell’umorismo, è celebre e ricordato da tutti con affetto per il momento in cui, dopo essere svenuto nel bel mezzo del suo primo discorso al parlamento paragonò bonariamente la propria cagionevole salute allo stato disastroso dell’economia polacca. Mazowiecki perse conoscenza e svenne dall’emozione dopo aver preparato il proprio discorso per tutta la notte a forza di caffè e sigarette; eppure gli bastarono poche boccate di aria fresca per rinvenire e pronunciare la celebre battuta tornando in fretta e furia verso l’assemblea.
Questo celebre aneddoto dimostrava la consapevolezza profonda per lo stato in cui versava allora l’economia del paese, un paese dai negozi vuoti, dall’inflazione galoppante, dal debito pubblico elevatissimo. Fu Mazowiecki infatti a volere come ministro dell’economia Leszek Balcerowicz, accademico sul punto di espatriare nel Regno Unito, e in seguito artefice della cosiddetta shock therapy, la ricetta economica di liberalizzazioni e privatizzazioni per stimolare la nascita di un libero mercato. La disoccupazione e gli stenti che comportarono le drastiche riforme negli anni a venire non macchiarono tra la maggioranza dei polacchi la percezione di Mazowiecki e del suo governo quali fautori di cambiamenti necessari per il cambiamento del paese.
L’uomo del dialogo
La Polonia che Mazowiecki lascia dopo 24 anni è profondamente trasformata rispetto a quella della transizione. Nel momento in cui la crescita, a più di nove anni dall’adesione all’unione europea, si fa più lenta, il confronto politico si dimostra sempre più polarizzato tra le due destre polacche, i liberali di Piattaforma Civica (PO) e i conservatori di Diritto e Giustizia (PiS), figlie della disgregazione feroce delle forze costituenti Solidarność, della quale anche Mazowiecki rimase orfano, fondando il piccolo Partito Democratico Polacco.
Lo scenario politico si riflette facilmente nella incomunicabilità di due Polonie diametralmente opposte in cui si è divisa la società, da un lato europeista e liberale ma consumista e spietata verso i milioni di cittadini rimasti indietro nella corsa al benessere, dall’altro populista e integralista, cattolica e conservatrice. Una situazione che lamenta fortemente la mancanza di figure politiche conciliatorie come aveva saputo essere, a cavallo tra gli anni 80 e 90, proprio Mazowiecki.
Adam Michnik, storico direttore di Gazeta Wyborcza, il più venduto quotidiano polacco fondato proprio nel 1989 in occasione delle prime elezioni “semilibere” dell’intero blocco orientale, lo ricorda con alcuni commossi pensieri. “Tadeusz amava molto citare una frase celebre di Gombrowicz che dice: ‘Non sono così pazzo da avere, ai nostri giorni, opinioni su tutto oppure da non averne per niente’. In realtà Mazowiecki di opinioni ne aveva, e anche forti. Fu uomo combattente per la libertà e fautore dei patti necessari per la libertà”. Nella difficile transizione, Michnik ricorda Mazowiecki sopratutto come un uomo del dialogo, capace di avvicinare e portare alla comprensione avversari inflessibili, uomini schierati dalla parte a lui opposta quali Wojciek Jaruzelski, Aleksander Kwaśniewski e Włodzimierz Cimoszewicz. Un uomo capace di guardare alla Polonia e al mondo intero, senza farsi mai complessi né peccare di presunzione: un profondo ed orgoglioso conoscitore della Polonia, della sua gloria e delle sue miserie.
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