MAFIJA: Da Novara a Tbilisi, storia della mafia georgiana

I carabinieri del nucleo di Novara hanno smantellato un’organizzazione criminale con ramificazioni internazionali ascrivibile alla mafia georgiana. La notizia, riportata dal quotidiano la Repubblica a firma di Meo Ponte, è di quelle degne di un romanzo. E stupisce che il teatro delle operazioni sia l’anonima e nebbiosa provincia piemontese. L’inchiesta, che ha svelato persino l’esistenza di una zecca clandestina, nasce per caso una mattina d’inverno di due anni fa quando a finire in manette, l’11 gennaio 2010, con l’accusa di ricettazione è stato un intero clan familiare, quello che faceva capo a Antonio Stepich, pregiudicato di origine rom. Stepich aveva costruito un vero e proprio forziere: una villetta in muratura costruita abusivamente nel campo nomadi di via Cusago a Milano che era stata trasformata in una centrale di ricettazione di gioielli, orologi e quadri d’autore, rubati in Lombardia, Veneto e Valle D’Aosta. A scoprirlo, in quell’11 gennaio, sono stati i carabinieri del comando provinciale di Novara, guidati dal capitano Vittorio Balbo, che arrestarono sei persone, tra cui Luca, Emanuel e Francesco Stepich e Veselinka Bozidarevic, di età compresa tra i 20 e i 36 anni.

Da Novara a Tbilisi

Da quel blitz si avviarono le indagini che ora hanno portato a scoprire e smantellare una rete criminale facente capo a Besik Kuprashvili, detto Beso, trentatrè anni, di nazionalità georgiana. “Beso – scrive Repubblica – ha una stella tatuata sulla spalla, il segno dell’appartenenza alla mafia degli svaneti, gruppo criminale della Svanezia, regione storica della Georgia”. Il network criminale, dedito alla ricettazione, aveva un giro d’affari di circa 10 milioni di euro (già nel 2010 si recuperò refurtiva per un valore di circa due milioni).

La merce veniva spedita in Georgia e andava a finanziare traffici “più articolati e complessi come la tratta degli esseri umani, la prostituzione e naturalmente droga e armi”, scrive ancora Repubblica. I traffici del gruppo georgiano erano già nel mirino dell’Interpol e grazie ad indagini internazionali è stato possibile arrestare ben 120 persone distruggendo così un’organizzazione mafiosa capace di muovere immense quantità di denaro agendo senza clamori, nascondendosi tra campi rom e capannoni di insospettabili fiancheggiatori. Tra questi spicca il nome di Davide Coen, 75 anni, ex gioiellerie che dopo la separazione dalla moglie si è trasformato in quello che gli investigatori dell’Interpol definiscono.“il più grande falsario d’Europa”. Scrive Repubblica che a metterlo in contatto con la rete criminale sarebbe stata la sua badante georgiana Mzevimar Gabisiani. “Nel capannone che Davide Coen aveva affittato a Vignate, nell’hinterland milanese, i carabinieri hanno scoperto una zecca clandestina in grado di falsificare ogni tipo di moneta”.

Mafia rossa, non russa

La mafia georgiana, troppo spesso confusa con quella russa, è un fenomeno criminale in prepotente ascesa sorto dalle ceneri dell’ex Unione Sovietica. Forse per questo, erroneamente, viene assimilata (come nell’articolo in questione) alla mafia russa. Un’associazione di idee che spinse Aleksandr Gurov, della Commissione sicurezza della Duma, ha dichiarare come “una mafia etnicamente russa non esiste. Nella criminalità organizzata confluiscono i rappresentanti di vari gruppi armati. Ricordo che nel 1995, a proposito di un mio libro sulla criminalità organizzata nell’Urss mi chiesi a lungo come definirla. Una cosa difficile perchè nelle strutture criminali organizzate i russi erano soltanto il 30%. Allora utilizzai un termine inventato dai tedeschi La mafia rossa”. Tali dichiarazioni furono espresse a seguito di una grande operazione antimafia che, nel 2010, consentirono di individuare una rete criminale georgiana che dalla Spagna si snodava fino in Svizzera. Anche all’epoca i giornali si servirono dell’etichetta di mafia russa. Come nel caso dell’articolo di Repubblica, il sensazionalismo e un sostrato culturale novecentesco, portano alla superficiale associazione tra Urss e Russia: errore che capita di riscontare diffusamente nella stampa italiana benchè siano passati più di vent’anni dalla fine del socialismo reale.

Lo sviluppo della mafia georgiana

La mafia georgiana ha caratteristiche proprie e si sviluppa intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, quando nella repubblica socialista georgiana cominciano a introdursi timidi elementi di rinnovamento economico e politico. Uno studio interessante, in tal senso, è  quello di Mars e Altman, “The Cultural Bases of the Georgian Second Economy” [Soviet Studies, 35/4, 1983] nel quale gli autori descrivono l’economia georgiana pre-perestrojka, come il risultato di una “fondamentale differenza culturale” dovuta all’affermarsi di valori come la competizione, la capacità di assumersi rischi, il senso dell’onore e il nepotismo. Dieci anni dopo questo sostrato economico-politico si rovescia nella nuova Georgia indipendente traducendosi in una economia basta sulla corruzione, sull’influenza, sull’illecito. La formazione dei network criminali, denominati kanonieri qurdebi (ladri nella legge) sul calco delle organizzazioni criminali sorte nel resto del territorio sovietico (il nome si rifà ai prigionieri dei gulag, ma nulla a che vedere con le moderne forme criminali) è stata favorita anche dalla guerra civile che ha riguardato la Sud Ossezia (1991-92) e l’Abcasia (1993). L’economia di guerra, quando non se ne è avvalsa, ha favorito lo sviluppo di gruppi criminali. L’economia di pace non è riuscita ha rifondare il sistema economico e il potere criminale è andato affermandosi al punto che, nel 2003, l’allora presidente georgiano (già ministro degli esteri sovietico) Eduard Shevardnadze ammise: “la mafia sta mangiando il Paese”.

Nel 2007, dopo una serie di operazioni antimafia, il presidente Mikheil Saakashvili dichiarò al parlamento che “il midollo del sistema criminale georgiano è spezzato”. Ma al di là delle dichiarazioni entusistiche, il fenomeno è lungi dall’essere sradicato. Certo molti gruppi hanno preferito trapiantarsi in Russia dove, secondo fonti di stampa, il 33% dei criminali provenienti dalle regioni ex-sovietiche è georgiano. Altri gruppi hanno preferito muovere verso l’Europa come i molti casi di cronaca testimoniano.

Le ragioni di un successo

La domanda di base è una: come può un così piccolo Paese sviluppare un fenomeno criminale di così grande portata? La risposta non può essere ricercata nella “cultura” o nella “mentalità” georgiana.  Il motivo va cercato nella natura del fenomeno criminale georgiano. Si tratta di una mafia che fornisce protezione sociale ed economica, tanto più preziose in un periodo di transizione e radicali mutamenti come quello che andava dalla fine degli anni Ottanta all’inizio degli anni Duemila. E’ in grado di controllare e arginare altre forme criminali “da strada”, percepite come pericolo reale dalla popolazione. E’ stata utilizzata anche per la riscossione delle tasse, specie durante gli anni della guerra civile. Offre “servizi di pubblica utilità”, e questo le ha consentito di godere del appoggio popolare e politico. Nel periodo di passaggio tra l’economia pianificata a quella capitalista, la mafia georgiana ha svolto un ruolo fondamentale di controllo e gestione del fenomeno, di fatto regolandolo.

Infine, la transizione georgiana dal socialismo alla democrazia è stata particolarmente sanguinosa. Le guerre civili sono l’espressione di un più diffuso clima di instabilità che ha favorito l’affermazione di una “mafia militare” capace di entare persino nelle forze di polizia. L’aspetto militare e quello economico ne hanno fatto il convitato di pietra del post-comunismo caucasico. E’ solo dal 2004 che il processo di state-building georgiano include il contrasto alla mafia. Come si è detto, il risultato è stato raggiunto per metà. Poiché se da un lato i kanonieri qurdebi hanno mollato la presa sul Paese, dall’altro sono “emigrati” in Russia ed Europa.

Una nota finale: secondo alcuni osservatori dietro l’opposizione al presidente Saakashvili c’era la mafia georgiana. Le procure austriache, che nel 2010 stavano fronteggiando il fenomeno, furono le prime ad affermarlo. Se fosse vero, l’attuale elezione dell’oligarca Ivanishvili, capace di riunire sotto il suo “georgian dream” tutte le opposizioni, sarebbe un segno di regresso nello scenario politico georgiano.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Michele Casalboni

    Gentile Matteo Zola,
    mi chiamo Michele Casalboni e sto svolgendo il Servizio Volontario Europeo a Tbilisi in Georgia. In Italia sovente ho collaborato con Libera e organizzato diversi eventi riguardanti l’anti-mafia. A dicembre ho organizzato una presentazione all’American Cultural Cultural di Tbilisi sulla mafia italian, troppo spesso fraintesa da queste parti come un fenomeno folkloristico o legato storielle divertenti come quelle narrate nel “Padrino” di Coppola o nei “Sopranos”. Tutto questo per dire quanto sono legato all’argomento.
    Sono rimasto sbalordito da questo articolo, davvero. Ero più che sicuro che qualcosa del genere esistesse ma finora non avevo trovato nulla a riguardo. La ringrazio infinitamente per questo interessantissimo articolo.
    Proverò a contattarla in privato nei prossimi giorni perché mi piacerebbe approfondire l’argomento e chiederle un paio di cose.
    Grazie ancora.

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