Belgrado, lo spirito di Andrić e Tesla per il futuro della Serbia

E’ il due novembre, ma a Belgrado fanno quindici gradi e un caldo quasi estivo. Il giorno dei morti ed ognissanti non sono festività – retaggio del calendario socialista jugoslavo – e la città è viva ed intasata di traffico come al solito. Più del solito, anzi – sono appena state in città Cathy Ashton ed Hillary Clinton, le due ‘grandes dames’ della diplomazia transatlantica, impegnate in colloqui con il neopresidente Nikolić, mentre Barroso a Bruxelles predispone i prossimi incontri dei primi ministri di Serbia e Kosovo, Dačić e Thaçi. Il messaggio è fondamentale: l’Occidente manterrà la sua apertura verso la Serbia – integrazione europea e commercio – se la Serbia manterrà il suo pragmatismo sulla questione del Kosovo anche con il nuovo esecutivo.

Belgrado non è la Serbia, dice qualcuno, così come Istanbul non è la Turchia. Forse entrambe le città ne sono solo l’avanguardia, la punta dell’iceberg sommerso. Eppure ciò che succede a Belgrado è significativo. La città è cresciuta negli ultimi anni, ed ha uno smalto nuovo – nonostante sulle grandi arterie continuino a circolare i bus gialli “dono del popolo del Giappone” e i tram rossi di produzione bielorussa, che riportano ad un passato prossimo di ricostruzione.

Così capita di sentirsi rispondere l’inaspettato, dai giovani di Belgrado. Elena, 24 anni e una laurea in linguistica e in studi europei a Varsavia: “vorrei lavorare come consigliere per EULEX a Pristina”. Ivan, 28 anni e un diploma di tecnico informatico: “lasciamo perdere tutta questa questione del Kosovo e ricominciamo da capo, da zero, come un paese europeo”. Maja, 22 anni, guida turistica e studente di management all’università: “Ho lasciato il villaggio di Obilic, fuori Pristina, nel 1999. Da 13 anni la mia famiglia vive a Belgrado, ormai sono di qui. Ma ho ancora cugini e parenti in Kosovo, mi piacerebbe tornare a trovarli e vedere i luoghi della mia infanzia. Finora non c’è stato un momento buono per organizzare il viaggio”.

Come la repubblica serba ha ripreso sulla bandiera e sullo stemma i vecchi simboli monarchici dei Karadjeordjević, così la città bianca ha ripreso la sua toponomastica dedicata a re e regine, principi e principesse del pantheon nazionale serbo, a partire dalla paradossale statua del principe Mihailo Obrenović che troneggia in Trg Republike, a quella poco distante di Petar Petrović Njegoš, alle due arterie commerciali di Kralja Aleksandra e Kneza Miloša.

Nei cinema, il 4 novembre, esce “Valter”. Il documentario, di Andrej Acin e con Emir Kusturica, sull’uomo Vladimir Perić e la leggenda del partigiano serbo impegnato nella difesa di Sarajevo dai tedeschi, un mito costruito dall’élite socialista e popolarizzato dal film del 1972 Valter brani Sarajevo. La locandina, con la stella e il viso dell’attore, è appesa alle pensiline del bus.

Tuttavia, le due figure più celebrate in città di questi tempi sembrano essere Ivo Andrić e Nikola Tesla. L’antitesi dello stereotipo del “balcanico”: il raffinato scrittore e diplomatico nato a Travnik, in Bosnia, premio Nobel nel 1960, e l’introverso e geniale inventore che dalla Krajina croata cercò fortuna negli Stati Uniti, regalandoci la corrente alternata ed il motore ad induzione. Due serbi e due jugoslavi: i loro musei continuano ad attirare visitatori, e non solo turisti. A Tesla è stato intitolato l’aeroporto, per Andrić c’è una statua ed il nome della via in cui abitava – Andrićev Venac – giusto di fronte all’ingresso dell’attuale presidenza del paese. Forse più degli Obrenović e dei Karadjeordjević, più di Kusturica e Valter, sono loro due a rappresentare la Serbia, e Belgrado, oggi.

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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4 commenti

  1. Il giorno dei morti e Ognissanti sono le festività esclusivamente cattoliche; i protestanti non le festeggiano e tanto meno gli ortodossi; qui il retaggio socialista proprio non c’entra niente.Invece, la “paradossale” (non ho ben capito questo) statua del Principe Mihailo, (l’autore è lo scultore fiorentino Enrico Paci) non ha cambiato il posto dal 1882.

  2. Gentile Jelena,

    ha ragione, errore mio, il retaggio socialista non c’entra con le festività di novembre. Eppure qualche amico serbo le conosceva, saranno dei sincretisti.

    La statua del principe Mihailo mi è apparsa paradossale perché sta comoda comoda in mezzo a Trg… Republike. Molte città italiane hanno una statua di Vittorio Emanuele e una piazza Repubblica, ma difficilmente le due stanno insieme. Un segnale in più del mix di elementi monarchici e repubblicani nell’identità serba odierna.

    Un caro saluto,
    Davide

    • Certo che conosciamo tutti tutte le festività…many and many years ago..esisteva un paese chiamato SFRJ. Il paese era multinazionale e multiconfessionale; così, i croati e sloveni andavano al cimitero il 02/11, mentre i serbi lo facevano una settimana dopo (“Zadusnice” – la giornata dedicata alle anime dei morti).
      Trg Republike una volta si chiamava Pozorisni trg (Piazza del Teatro) e dopo la II° guerra mondiale è diventata Trg Republike; ma nessuno si pone la domanda sull’opportunità di tenere un principe in piazza della repubblica. Forse perché nessuno dice “la statua” o “il principe”, no, si dice, semplicemente, “il cavallo”.

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