BOSNIA: Il Diavolo è venuto a reclamare il suo

Zlatko Dizdarević, ex giornalista del quotidiano sarajevese Oslobođenjeex ambasciatore di Bosnia ed Erzegovina in Croazia, grande esperto di Medio Oriente (ambasciatore per la Bosnia Erzegovina anche in Giordania, Iraq, Siria, Libano, corrispondente da Siria, Giordania, Israele, Tunisia, Yemen, Libia) e autore di numerosi libri, commenta le proteste di piazza di questi giorni nella Federazione bosniaca. Riprendiamo l’originale da forum.tm.

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Non sono minimamente sorpreso da nessun dettaglio del caos nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina. È importante non dare questo fatto per scontato – nella Federazione, non in Republika Srpska! È importante per comprendere l’intera faccenda, per quanto possa apparire bizzarra.

Per quanto riguarda il fattore sorpresa, sono a dire il vero stupito che tutto ciò non sia accaduto prima. Molto semplicemente perché sussistevano tutte le condizioni da manuale per un’esplosione.

Primo, la più completa umiliazione da ogni punto di vista di gran parte degli abitanti della Bosnia ed Erzegovina, in particolar modo di questa sua parte mutante figlia di Dayton chiamata Federazione BiH (Bosna i Hercegovina, ndt). Avrebbero dovuto reagire spontaneamente molto prima. “Spontaneamente”, in questo caso, è una variante più dolorosa di una qualche premeditazione dall’alto.

Secondo, la totale incapacità, o meglio inesistenza di qualcosa che dovrebbe essere chiamato Stato in qualsiasi sua forma razionale e nota. E il costante volgere lo sguardo di coloro che hanno creato questo mostro statale e costituzionale, e raccontano frottole sulla gente della BiH che dovrebbe “correggere le storture da sola”. Probabilmente come in Ucraina, nel Vicino Oriente e chissà dove… Se non sono in grado di trarne conclusione alcuna, ecco qui, domani, nel loro cortile di casa, gli stessi problemi.

Terzo è il classico adagio qui espresso in piena misura, e da tempo conosciuto nel mondo – di come una “rivoluzione” spontanea il primo giorno, venga scippata nella notte da frange più radicali, da ladruncoli, teppisti e, il giorno seguente, da estremisti di varia gradazione.

L’eliminazione del ceto medio

In breve, il Diavolo che doveva uscire dalla sua tana nel caso della cosiddetta Bosnia ed Erzegovina di Dayton – che è una totale forzatura di quella Bosnia ed Erzegovina storica e già in passato comprovata come funzionale, esistente, reale e umana – è venuto a reclamare il suo. Direi, visti i richiami roboanti di quaggiù, per giunta con un certo ritardo. Tutto il resto sono sottigliezze.

In tali “sottigliezze” si annida quanto segue: in questo Stato, così com’è, vivono delle persone che hanno lavorato, edificato, che venivano retribuite, persone che contraddistingueva nella vita un altro sistema di valori, molto più reale, accettabile e ragionevole di quello in voga oggigiorno. Persone che sapevano cos’era la dignità personale e collettiva. Esisteva una scala di grandezze del tutto vicina a quella in vigore in giro per il mondo. Esisteva in generale, e in particolare proprio in città quali Sarajevo, Tuzla, Mostar, Bihać, Banjaluka… contesto nel quale si è formato un ceto medio dominante. I singoli “padrini” si potevano mangiare in un boccone, pure con un sorriso. I perdenti erano in gran parte colpevoli della propria condizione. Tale classe media è stata oggi brutalmente, si potrebbe dire “genocidialmente”, annientata, sepolta, derisa, mortificata fino alla fine e dichiarata una barzelletta. Da chi? Da bruti, criminali, coloro che deridono l’educazione, l’intelligenza, la cultura. Da quella grezza classe dominante cresciuta su tutto ciò che è contrario ai valori di una volta.

Qui non si tratta di storia, qualcosa che a volte esiste solo nei libri. Si tratta del fatto che con l’umiliazione è stata coperta una generazione che sapeva che si può e come si può fare in maniera diversa, più giusta, con maggiore successo e felicità, e già da venti e rotti anni osserva come tutto, in maniera mirata, abbia preso una direzione contraria, contro di loro e contro i loro figli. Si tratta di una generazione che si alzava ad ogni passo orgogliosa ad un inno che veniva suonato per le medaglie e i primi posti, mentre oggi il loro inno non ha nemmeno parole e testo, non viene suonato in nessun luogo e in nessuna circostanza. Anche la bandiera gliel’hanno disegnata altri, senza legame alcuno con la propria storia ed i propri valori. Si tratta di una generazione i cui figli chiedono ai padri – e perché non rubi anche tu, così almeno avremmo qualcosa… Infine, è una generazione che ha iniziato a scavare nei bidoni della spazzatura non perché un uragano, un’alluvione o terremoto hanno raso tutto al suolo, ma perché dei ladri hanno rapinato questo paese e riempito le proprie tasche delle sue ricchezze. Nel nome della nazione, dell’etnia, della fede e di una guerra incompiuta.

Niente di tutto ciò stupisce

E perciò non stupisce che tutto sia partito da Tuzla, che era ed è rimasto l’ultimo bastione di un qualche centro urbanizzato contro il quale dal primo giorno dopo la fine della guerra sono partite pressioni di ogni tipo affinché si riuscisse a rovinarne e cambiarne il volto. È perciò normale che lì anche i poliziotti si siano schierati dalla parte degli offesi, perché ne condividono il gruppo sanguigno.

E non stupisce nemmeno che i fatti più brutali e sanguinosi siano occorsi a Sarajevo. Perché questa città è stata umiliata più di tutte ed il suo codice genetico di una volta è stato annientato nel peggiore dei modi. E riguardo alla sua condizione reale ci sbagliamo enormemente. Si demoliva in maniera mirata e progettata in guerra e poi anche in pace, con costanza e grettezza. Molti direbbero, razionalmente. Sarajevo oggi è più lontana che mai da ciò che è stata. E questa ferita la sentono soprattutto coloro che in essa sono rimasti, mentre i figli si arrangiano tra i ricordi nostalgici dei genitori e la brutale realtà della strada. Un invito a nozze per il Diavolo.

Dayton l’idiota

Cosa dire del concetto di caos contenuto nella Costituzione, portato avanti da perfetti addetti ai lavori nostrani. Di Dayton, progetto idiota col quale i potenti hanno voluto appuntarsi vicendevolmente qualche medaglia, sul quale bisognava guadagnare soldi a palate, depredare le risorse, invalidare e debellare nuove idee non adeguate al corporativismo, cambiare l’intelligenza autoctona e barattarla con idioti e incapaci nazionali e importati, sperimentare un modello di territorializzazione del nazionalismo quale paradigma per la fondazione di Stato che fornisse una base futura per altri Stati…

Il risultato è dolorosamente riconoscibile, innanzitutto, nel fuoco sulle strade di quella Sarajevo decomposta spiritualmente e materialmente e di una Mostar brutalmente divisa su base nazionalistica. In un’entità nella quale in pratica non esiste nemmeno una organizzazione verticalistica che possa indicare a una gerarchia degli ordini funzionale, a prerogative e soprattutto responsabilità concrete, ma dove è tutto artificiosamente orizzontale, dove le parallele non si tangono, nessuno risponde a nessuno, e tutto è tenuto in piedi da meccanismi di stallo che non presuppongono un solo meccanismo di sblocco – è chiaro allora perché nessuno difende le istituzioni sotto attacco di tale “Stato”. A dire il vero, non ci sarebbe chi. Persino se vi fosse stato ordine di farlo, l’unanimità avrebbe dovuta essere confermata da una decina di istanze. Di istituzioni, in realtà, non v’è l’ombra nemmeno al di sopra di tale politica di basso livello. Al loro posto, il ministro comanda per mezzo della polizia perché è lui la politica, e la politica qui è una vittoria personale. Corrono le elezioni, conviene essere “umanisti”, mentre la storia ha dimostrato che quel “nessuno si deve azzardare a picchiarvi” (parole rivolte ai serbi da Milošević nel 1987 in visita in Kosovo, premonitrici di tutto ciò che sarebbe seguito, ndt) offre un ritorno assicurato.

Stato della Republika Srpska, brutale realtà

Ed infine, del perché finora non si è vista in Republika Srpska questa dissoluzione del sistema e sconfinamento nella rivoluzione. La ragione è che un quasi-Stato, quale che sia, fondato su una forte gerarchia con un leader (quale che sia il suo livello di totalitarismo ed egemonia), c’è, perché esiste un meccanismo di comando in grado di esercitare il potere, perché non ci sono livelli di mezzo in cantoni di sorta dove governano coalizioni di ogni tipo come oche perse nella nebbia, perché si sa bene chi ruba e per conto di chi, e chi invece non sta al gioco. Suona forse alquanto antidemocratica questa “menzione” a quella forma di centralismo che viene sventolata propria da laggiù, come un panno rosso, quando è la Bosnia ed Erzegovina come Stato ad essere messa in discussione?

Questa, ad ogni modo, è la brutale realtà. Nei luoghi dove si è compiuto il caos, detto banalmente, non c’è Stato capace di confrontarsi con tale caos. E non c’è perché esistono due modelli di ruberia e criminalità, oggettivamente sostenuti a livello internazionale. Uno è l’inesistenza dello Stato dove quindi i potenti criminali possono fare come più gli aggrada. Questo si chiama Federazione BiH, entità. L’altro è uno Stato rubato da un comandante, totalitarista, che ha venduto con successo il nazionalismo sotto le vesti del populismo, ha tagliato i ponti col resto dello “Stato” e tiene le cose in proprio pugno. Per ora. Quest’altro si chiama Republika Srpska, entità.

Nell’uno come nell’altro caso nessuno si interessa nemmeno minimamente del cosa dicano a tal proposito le teorie tradizionali sulla democrazia. Non solo queste non sono rilevanti, qui sono del tutto malvolute e pericolose, e contro di esse conviene lottare con tutta forza. Non sono del tutto convinto che nemmeno il Diavolo su questo terreno necessiti per ora di ulteriore spazio a lui congeniale. Già così com’è, ne ha d’avanzo.

Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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Un commento

  1. A chi fosse interessato all’argomento mi permetto di segnalare la risposta dell’ambasciatore Romano a una lettera pubblicata sul Corriere della sera in data 13 febbraio.

    [ http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/14_febbraio_13/-DOPO-LA-LUNGA-CRISI-JUGOSLAVA-QUASI-TUTTI-INSIEME-NELL-UE_34a38e1a-9479-11e3-af50-9dc536a34228.shtml qui il link, ndr ]

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