Dal dopoguerra ad oggi, la situazione della Bosnia-Erzegovina non si può certo dire che sia migliorata in maniera significativa, attualmente presenta diverse problematiche amministrative legate agli Accordi di Dayton, che hanno sancito la pace, congelando però la situazione al momento della guerra e producendo un sistema che fondamentalmente ha paralizzato le istituzioni del paese.
La conseguenza principale della crisi istituzionale bosniaca e della sua inaffidabilità è la difficile situazione economica in cui versano la popolazione ed i settori produttivi.
L’economia del paese risulta essere in forte recessione, lo stato è soffocato dal debito pubblico e si registra un alto tasso di disoccupazione, alcuni dati parlano addirittura del 40% della popolazione.
Il periodo della guerra è stato devastante per la Bosnia-Erzegovina, in quanto ha subito le maggiori distruzioni infrastrutturali e territoriali rispetto alle altre repubbliche jugoslave. Ciò che aggrava la situazione è che nel dopoguerra non è mai stato ricostruito veramente il settore industriale del paese, ed ancor peggio le poche industrie sopravvissute sono state privatizzate grazie alla complicità delle diverse elites nazionaliste che hanno deciso di spartirsi le ricchezze del paese. Un esempio eclatante di ciò è l’acciaieria di Zenica, comprata e ristrutturata da investitori del Kuwait è stata in seguito svenduta agli indiani di Mittal con la promessa di ammodernarla. Tutt’ora in funzione, risulta essere una delle industrie più inquinanti per il paese, senza nessuna protezione contro le emissioni tossiche e responsabile diretta dell’aumento dei casi di tumore in città.
Data l’assenza o l’arretratezza di certe strutture, l’economia bosniaca dipende dai prestiti internazionali perchè fino ad adesso non è stata in grado di attirare investimenti stranieri significativi. Questi sarebbero estremamente necessari in un paese come la Bosnia-Erzegovina che è fortemente indebitata con l’estero. Stando alle statistiche, solo nel 2013 i rimborsi dovrebbero ammontare a circa 800 milioni di marchi (400 milioni di euro circa) , ossia quasi un terzo del budget statale.
Bisogna tener presente che il debito pubblico bosniaco non supera il 50% del PIL, ma data la crisi economica globale e la conseguente contrazione dei consumi dei principali partner commerciali della Bosnia-Erzegovina, questo dato è in crescita e ciò mette a repentaglio i già precari equilibri del sistema finanziario pubblico. Infatti, dato che gli investimenti stranieri mancano, per coprire i costi del debito pubblico, la Bosnia-Erzegovina dovrà chiedere ulteriori prestiti al Fondo Monetario Internazionale, come riporta il capo del governo Vjekoslav Bevanda.
Secondo i dati elaborati dalla FIPA (Foreign Investment Promotion Agency) gli IDE ( Investimenti Diretti Esteri) sono scarsi e non sono sufficienti per coprire l’indebitamento estero del paese. Dai dati ciò che sorprende è l’assenza di investimenti dei paesi musulmani, che corrispondono al 3% del totale dei capitali stranieri presenti in Bosnia-Erzegovina. Secondo la portavoce della FIPA i principali investitori in Bosnia-Erzegovina risultano essere l’Austria e i paesi confinanti, Croazia e Serbia mentre il primo paese musulmano è la Turchia che nella classifica generale è nona, dietro persino all’Olanda. La Turchia risulta essere il paese musulmano che investe di più in Bosnia-Erzegovina, con investimenti che ammontano a 10,5 miliardi di marchi.
L’assenza di investimenti economici dei paesi musulmani risulta essere molto significativa soprattutto perchè durante la guerra gli sforzi per salvare i propri correligionari musulmani bosniaci facevano pensare a un altro scenario nel dopoguerra. Ciò che invece risulta è il fatto che nel dopoguerra l’influenza dei paesi musulmani nell’economia bosniaca è rimasta sempre marginale: Arabia Saudita e Kuwait si sono limitati a inviare denaro per ricostruire edifici e moschee, mentre gli altri emirati come Bahrein, Oman o lo stesso Iran non hanno mantenuto nessuna delle promesse fatte in precedenza.
Enes Ališković, direttore dell’Agenzia per la Promozione delle Esportazioni, ha affermato che i principali partner commerciali musulmani sono la Turchia, i paesi del golfo e quelli del Nord Africa, specialmente la Libia prima che fosse sconvolta dalla guerra.
Per migliorare questo trend, recentemente una delegazione guidata da Zlatko Lagumdžija, Ministro per gli Affar Esteri, si è recata in Qatar e Emirati Arabi per stipulare progetti concreti di sviluppo. Malgrado gli sforzi della delegazione tutto si è concluso in un nulla di fatto.
Dal punto di vista privato invece, la situazione è leggermente diversa in quanto il primo investitore privato risulta essere Al Jazeera Satellite Network, società di telecomunicazioni del Qatar che recentemente ha fondato Al Jazeera Balkans.
Secondo alcuni economisti, la spiegazione della mancanza di investimenti da parte di questi paesi deriva sia dalla costante instabilità istituzionale della Bosnia-Erzegovina, che dalla mancanza di infrastrutture sul territorio (autostrade e ferrovie). Di conseguenza, nessuno dei paesi musulmani ha interesse o incentivi a investire in un paese povero che si trova nella periferia dell’Europa. Tutto ciò risulta essere un pericoloso circolo vizioso da cui sembra difficile uscire perchè i due fattori sono estremamente collegati, infatti uno tende ad annullare l’altro e viceversa.
La questione degli investimenti dei paesi musulmani è molto interessante perchè, dalla fine del conflitto ad oggi, questi non hanno quasi mai investito nello sviluppo economico del paese, bensì nella creazione di associazioni umanitarie e progetti di volontariato; nell’acquisto di immobili e nella costruzione di luoghi di culto. Le diverse attività sono disseminate su tutto il territorio bosniaco e uno degli esempi più visibili è la maestosa moschea di Re Fahd dell’Arabia Saudita costruita a Sarajevo. Oltre a ciò in tutta la città si possono incontrare centri di cultura saudita, iraniana, kuwaitiana etc.
Benchè le opere siano ben visibili, ciò che invece risulta essere oscura è la provenienza dei fondi per la realizzazione di queste opere o il mantenimento delle associazioni. Mentre il denaro degli IDE viene tracciato e quantificato, il denaro degli aiuti non può tracciato ne tanto meno essere stimato all’interno delle agenzie dello stato bosniaco. Infine, nessun funzionario all’interno della stessa comunità musulmana è in grado di fornire informazioni sull’utilizzo di questi fondi.
Foto: Panic, Flickr
Caro david,
dall articolo non sono riuscito a capire se la mancanza di investimenti da parte di paesi musulmani sia da riferisi solo ad investimenti pubblici…una specie di investimenti produttivi di stato, oppure vengano contati anche gli investimenti privati. Il che tra l’altro è un po complicato perchè tra gli investimenti privati figura Al Jazeera, che è a quanto ne so un network basato sui fondi dell emiro del Qatar, quindi anche lì si può intenderla come privata ma anche legata a fondi di investimento statali. Inoltre in città come sarajevo sembra per esempio abbastanza evidente la presenza di numerose banche turche, che testimoniano dunque una certa presenza del paese tra i paesi che per esempio forniscono credito alle imprese.
Tutto ciò mi lascia un po dubbioso su cosa significhi esattamente che mancano investimenti dai paesi musulmani in bosnia. Potresti darmi qualche spiegazione al riguardo? Grazie e complimenti per l articolo, molto interessante.