Sono giorni di tensione quelli che sta vivendo la Catalogna. Giorni in cui il governo centrale sta ordinando arresti e perquisizioni nelle sedi istituzionali della regione al fine di evitare un referendum per l’indipendenza che valuta come illegittimo. Una situazione incandescente, in cui il Futbol Club Barcelona ha deciso di prendere posizione con un comunicato che rappresenta solo l’ultimo atto di una trama a doppio filo tra i Blaugrana e la questione catalana.
«Rimanendo fedele al suo storico impegno di difesa della nazione, della democrazia e della libertà di espressione, e di autodeterminazione», si legge nel comunicato, «il Barcellona condanna ogni atto che impedisca l’esercizio di questi diritti». «Il Barcellona continuerà a supportare la volontà della maggioranza del popolo catalano e lo farà in modo civile, pacifico ed esemplare». Un comunicato atteso e inevitabile, anche se l’attuale presidenza di Josep Maria Bartomeu non è sempre stata così esplicita circa la questione catalana.
Discorso diverso fu invece quello legato a Joan Laporta, presidente del F.C. Barcellona nella fase di ricostruzione dal 2003 al 2010, che ha portato il suo club sul tetto del mondo anche grazie ai prodotti della Masia, ovvero la struttura blaugrana di formazione del vivaio, anche dal punto di vista umano e identitario. «L’indipendenza è essenziale per la Catalogna perché riguarda tutte le persone che vivono e lavorano nella nostra comunità», affermò Laporta nel 2011 in un’intervista a La Cámara. «Costituisce l’unica via», insisteva, «per superare la crisi economica, democratica e culturale in cui per sfortuna sia coinvolti». E non è un caso che dal 2010 al 2012 egli sia stato eletto come deputato nel Parlamento della Catalogna.
“Il Barcellona è l’esercito disarmato della nazione catalana” ebbe a dire il celebre scrittore Manuel Vázquez Montalbán nel sottolineare il legame tra la squadra di calcio e l’identità locale. Un legame che affonda le proprie radici nel passato, come nel caso di Josep Sunyol, membro delle Cortes Generales con l’Esquerra Republicana de Catalunya ed eletto presidente dei Blaugrana nel 1935. La sua vita finì tragicamente un anno dopo, quando fu fucilato nei pressi di Guadalajara dalle truppe di Francisco Franco durante la Guerra Civile Spagnola. Un evento che non ha fatto che ampliare il sentimento che contrappone la Catalogna al governo centrale castigliano. Un rapporto che risulta evidente anche considerando il derbi barceloní, ovvero quello contro l’Espanyol. Fondato nel 1900 da tre studenti di ingegneria dell’Universidad de Barcelona, ricordati come i «tres mosqueteros», il fine della società era quello di dare la possibilità di giocare al fútbol ad appassionati spagnoli che erano stati scartati dalle società di allora perché non catalani.
Più delicata è la questione della nazionale catalana di calcio. Una storia longeva la sua, cominciata nel 1912 durante un’amichevole contro la Francia e proseguita fino ai giorni nostri con più di 200 partite all’attivo, pur non essendo chiaramente affiliata alla FIFA. Solitamente prendono parte alle sfide anche giocatori catalani che poi rispondono positivamente anche alla chiamata della Selección. Un giocatore più di tutti ha scaldato il cuore dei catalani: Oleguer, al Barça dal 2003 al 2008. Intellettuale ancor prima che calciatore, tra libri ed articoli di stampo sociale, economico e politico, nel 2006 fu convocato da Luis Aragonés per uno stage con la Spagna in vista del Mondiale in Germania. Il difensore decise tuttavia di confidare al CT di non sentire sufficiente senso di appartenenza, ottenendo di poter tornare a casa.
«Més que un club», si definiscono i Blaugrana, ovvero «più che un club». E stando alla storia non si può far altro che dar loro ragione.