Ramush Haradinaj, ex generale dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk) ed ex primo ministro del Kosovo sotto amministrazione Onu tra il 2004 e il 2005, è stato arrestato il 4 gennaio 2017 in Francia nell’aeroporto Basilea-Mulhouse-Friburgo, subito dopo il suo arrivo su un volo proveniente da Pristina. L’arresto è stato effettuato su mandato di cattura spiccato dalla Serbia nel 2005, con l’accusa di aver torturato e assassinato circa 60 persone durante la guerra in Kosovo.
Da generale a politico
A guerra conclusa Haradinaj è entrato in politica fondando il partito Alleanza per il futuro del Kosovo (AAK). Alle elezioni del 2004 ottenne lo scranno di primo ministro. L’esperienza politica durò circa cento giorni e l’8 marzo del 2005 il Tribunale internazionale per i crimini commessi in ex-Jugoslavia (ICTY) spiccò un mandato d’arresto nei suoi confronti. Il processo a Haradinaj, Idriz Balaj e Lahi Brahimaj iniziò il 5 marzo 2007; i tre erano accusati di crimini di guerra e contro l’umanità. Il 3 aprile del 2008 fu assolto anche in virtù delle mancate testimonianze che inficiarono il corretto andamento del processo; dieci testimoni morirono uccisi in circostanze sospette e altri si dichiararono impossibilitati in quanto intimoriti dall’andamento del processo. La stessa accusa del Tribunale trovò poca collaborazione dei vertici kosovari, dell’Onu e della Nato. Fu arrestato una seconda volta il 21 giugno del 2010 per apparire in appello: i tre imputati furono successivamente assolti tra le polemiche il 29 novembre 2012.
L’arresto e le reazioni
Si dice spesso che una persona possa cambiare e affrontare nuove sfide durante la propria vita e che la gente ricorderà sempre gli errori fatti da giovane. Questo è particolarmente vero nel caso di Haradinaj, sulla cui responsabilità personale nei capi d’accusa dell’ICTY rimane più di un dubbio, anche se è stato assolto. Soprattutto le modalità del processo e le resistenze incontrate dal Tribunale da parte di istituzioni internazionali non rendono le sentenze univoche e scevre di interpretazioni discordanti. Sicuramente a Belgrado l’opinione pubblica ha pochi dubbi su Haradinaj, e le accuse su cui si basa il mandato di cattura vertono sulla responsabilità soggettiva nei campi di internamento in Metohija (la parte occidentale del paese) e nella strage di sessanta civili serbi e albanesi, i cui corpi vennero rinvenuti presso il lago Radonjic. Sia Kosovo che Albania hanno condannato l’arresto: il presidente del Kosovo Hashim Thaçi ha dichiarato inaccettabile un suo arresto, dichiarandosi inoltre fiero di persone come Haradinaj che hanno combattuto contro le leggi discriminatorie del regime di Milošević. Espressioni di solidarietà sono arrivate anche da esponenti dell’opposizione come Visar Ymeri, leader di Vetevendosje.
Il rilascio in attesa di estradizione
Il 12 gennaio le autorità francesi hanno rilasciato Haradinaj in via temporanea, con obbligo di firma e passaporto sospeso. Le istituzioni serbe hanno dichiarato di aver approntato nuove prove della colpevolezza di Haradinaj, ed è stata effettuata la richiesta di estradizione: l’Ufficio per il Kosovo e Metohija, organo governativo di Belgrado, si è dichiarato fiducioso che Parigi accolga la richiesta ma altresì pronto a contromisure qualora la richiesta venisse rigettata. Belgrado sta utilizzando l’arma della ferma diplomazia nelle dichiarazioni, soprattutto quelle che arrivano dalle sue istituzioni. L’impressione che si ha è che stiano premendo su una questione di principio reale, certamente molto sentita dall’opinione pubblica, e non solo per ragioni politiche, come la vicinanza con le elezioni lascerebbe supporre. Questo appare ancora più vero vista la storia di Haradinaj, sulle cui responsabilità nei crimini di guerra restano ancora molti dubbi.