Ironico, sottile, a volte pungente. Questo è Corpi (Ciało), il nuovo film di Małgorzata Szumowska, la regista polacca che quest’anno si è aggiudicata l’Orso d’Argento per la miglior regia al Festival del Cinema di Berlino. Uscito in Italia il 5 novembre senza troppi sfarzi, la pellicola – e il titolo lo introduce esplicitamente – ritorna su un tema già caro alla regista e affrontato in Elles e In The Name Of. Più intimo stavolta è lo sguardo della cineasta di Cracovia anche se non mancano velate critiche e riferimenti al mondo esterno, uno sfondo che ricorda quelli di Krzysztof Kieślowski, vincitore del premio berlinese per Tre colori – Film bianco, dieci anni prima che la Szumowska girasse il suo nuovo lavoro, nel 1994.
Tre solitudini. Janusz, padre cinico e un po’ insensibile che non riesce a sfondare il muro d’odio e d’insofferenza che la figlia Olga ha eretto dopo la morte della madre; una terapista, Anna, che curando la bulimia della giovane sembra riuscire a ricucire il rapporto tra i due, come si spera nel finale, più caldo e consolatorio per luci e colori. Non è certo, infatti, che i due si ritrovino: un epilogo aperto che non offre risposte, come l’intero film che indaga storie di rapporti con presenze e assenze.
Janusz, maniaco di lavoro, è un procuratore che scruta cadaveri giornalmente, mentre Olga si consuma in un disturbo che esprime un dolore per un lutto non elaborato. Anche Anna si priva del suo corpo ma in forma diversa. Lo rende piatto, non se ne prende cura, lo nasconde, ne cancella la femminilità e la sessualità perché in fuga dal dolore per la morte, anch’essa celata, del figlio. Si rifugia nel lavoro e nella spiritualità. Mentre nasconde la perdita alla madre e un po’ a se stessa mantenendo intatta la camera del piccolo, Anna esercita dei poteri soprannaturali, da medium, che la collegano all’aldilà. Aiutando gli altri per curare pure le sue ferite, convince uno scettico Janusz a cercare il contatto con la moglie defunta.
Malgrado i dubbi sulle sua velleità spirituali, Anna diventa ad ogni modo l’anello – e quindi un vero medium nell’accezione latina di “mezzo” – per ristabilire la relazione tra due incomunicabilità. E, sotto la direzione di Małgorzata Szumowska, lo fa con delicatezza, regalando sorrisi agli spettatori perché la forza e l’intelligenza del film risiede nel suo umorismo nero che smorza il dramma, dona carattere, e bilancia in maniera intelligente la tragedia che ogni vuoto genera.
Photo by Jacek Drygała, culture.pl