Sono passate più di tre settimane da quando le elezioni del 25 ottobre hanno consegnato, attraverso una schiacciante vittoria, la Polonia nelle mani della destra nazional-conservatrice guidata da Jarosław Kaczinski e dal partito PiS (Prawo i Sprawiedliwość, Diritto e Giustizia), e già il nuovo governo, entrato in carica ieri, attraverso una serie di dichiarazioni nette nei confronti di tematiche come quelle dei rifugiati, ha già scatenato polemiche nei confronti dell’Unione Europea, il grande nemico dichiarato dell’esecutivo.
La miccia si è scatenata all’indomani dei sanguinosi fatti di Parigi, quando sia le Nazioni Unite che il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, hanno lanciato severi moniti contro quegli stati che rifiutano l’accoglienza ai rifugiati per asserita protezione della sicurezza dei cittadini e dello stato contro infiltrazioni terroristiche. Schulz in particolare è stato molto esplicito nel criticare la piega degli eventi in Polonia, a seguito anche delle dichiarazioni del neo ministro agli Affari Europei, Konrad Szimański, nelle quali di fatto il governo dichiarava nulli gli impegni presi in materia di quote rifugiati, presi dal precedente esecutivo.
Le dichiarazioni di Schulz non potevano ovviamente passare inosservate, e hanno avuto come conseguenza quello di generare risposte ancora più polemiche. Come quella arrivata dal nuovo ministro dell’Interno, Mariusz Błaszczak, il quale ha bollato l’intervento di Schulz come scandaloso, tirando fuori dal cassetto un classico evergreen della politica polacca, cioè l’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale, e la distruzione che l’esercito tedesco inflisse a Varsavia dopo la rivolta del 1944. Ma forse, più scalpore e perplessità le hanno suscitate le parole del ministro degli Affari esteri, Witold Waszczykowski, riguardo ad un utilizzo “migliore” dei profughi siriani: questi infatti dovrebbero essere rimandati in Siria per essere finanziati e addestrati con lo scopo di combattere Bashar Al-Assad. Una soluzione sia per sbarazzarsi del problema alla radice, sia per evitare di mandare soldati in Medio Oriente.
Al di la di parole anacronistiche come quelle sul conflitto del 1939-1945, o di idee abbastanza surreali, specie per chi dovrebbe essere il capo della diplomazia di uno stato, quello che suona immediatamente chiaro è che il Gabinetto conservatore polacco ha già deciso di lanciare il guanto di sfida all’Europa e alla potenza che al momento la traina, la Germania. Le relazioni con la Germania potrebbero subire un profondo deterioramento, come afferma l’analista politico Pawel Swidlicki, andando in controtendenza rispetto ad un asse Varsavia-Berlino che era uscito enormemente rafforzato durante gli anni del governo del PO (Platforma Obywatelska, Piattaforma Civica), partito dell’attuale presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
Questa politica del muro contro muro potrebbe portare anche a ripercussioni nel ruolo della politica comunitaria in temi sensibili per la politica polacca, una su tutte il venir meno da parte della UE di un supporto alla Polonia in chiave anti-russa, visto il clima di tensione che si è creato in Europa centro-orientale, il più grave dalla fine della Guerra fredda.
Al momento però questa ipotesi non spaventa più di tanto la nuova classe dirigente del PiS, perché i nuovi obbiettivi di politica estera corrono lungo due binari ben definiti: il primo rappresenta il ruolo che Varsavia è pronta a giocare per ottenere un rafforzamento massiccio della presenza NATO ad est, con lo schieramento di truppe permanenti nei paesi membri dell’Alleanza. Più Coalizione euro-atlantica, meno Europa e Germania. Questo, a sua volta, dovrebbe consolidare anche il secondo obbiettivo: quello di ristabilire, o rafforzare a seconda delle visione, un ruolo di forte leadership regionale, di essere il centro di gravità attorno al quale dovrebbero ruotare gli altri attori della zona, a partire dai membri del “Gruppo di Visegrad”, uscito abbastanza diviso in merito alla crisi ucraina.
usciate e usciamo dalla UE!