RUSSIA: Scienza e segreti di Stato

L’atmosfera all’interno del Belozersky Institut, il maggior centro di studi biologici dell’Università Statale di Mosca, è alquanto tesa da quando il governo russo ha varato l’ultima legge in materia di spionaggio che ordina a tutti gli scienziati di far approvare ricerche e bozze di ricerca dalle autorità prima di qualsiasi pubblicazione o divulgazione. Un ritorno ai tempi sovietici?

In epoca sovietica per uno scienziato svelare un segreto di Stato significava rimetterci letteralmente la pelle. Le ricerche scientifiche, volte soprattutto a cercare di superare il nemico numero uno durante gli anni della Guerra Fredda, erano monitorate fino all’ultima goccia dagli agenti del KGB e gli stessi scienziati controllati e spiati a vista nel loro lavoro quotidiano. Se inoltre l’argomento delle ricerche trattava temi scottanti riguardanti scoperte in ambito militare, nucleare o industriale, allora lo scienziato era spesso confinato a lavorare in un ambiente strettamente sorvegliato come quello di una “città chiusa”, luoghi con particolari restrizioni di accesso e di residenza, dove per entrare ed uscire era necessario un permesso speciale.

Oggi la vita degli scienziati nella Federazione russa è sicuramente cambiata, si è stabilizzata, è stata riconosciuta ed è anche migliorata, o almeno così sembrava fino allo scorso venti ottobre, giorno in cui la nota rivista scientifica britannica “Nature” pubblica un articolo che comunica come nel territorio russo sia entrata in vigore una legge che ricorda a tutti i ricercatori di dover ottenere un permesso dai servizi segreti federali russi (FSB) prima di poter pubblicare e divulgare qualsiasi articolo, intervento o presentazione di tipo scientifico a livello nazionale e internazionale. L’estratto del verbale, proveniente dall’Università Statale di Mosca “Lomonosov” (MGU), invita tutti gli studiosi ad adeguarsi alla nuova legge sulla sicurezza modificata in maggio dal presidente Vladimir Putin e ufficialmente in vigore dallo scorso cinque ottobre.

Il direttore del Belozersky Institut, Vladimir Skulachev, non ha tuttora commentato la notizia, mentre il governo russo si giustifica sostenendo che questa decisione non è destinata a limitare le pubblicazioni scientifiche che riguardano le ricerche di base e quelle non strettamente militari o industriali. Tuttavia, il campo di applicazione di questa legge rimane abbastanza vago: è noto come la biologia, l’informatica e la geografia siano inevitabilmente materie legate a ricerche strategiche di tipo militare, industriale e nucleare e, se si tiene conto dell’attuale situazione internazionale, la Russia non può che essere favorevole a queste decisioni in materia di protezione. Esporsi diventa rischioso.

Ricercatori e studiosi non approvano invece queste nuove misure di sicurezza e pensano che la Russia stia tornando a una nuova forma di censura e di controllo, proprio come un tempo. “È un ritorno ai tempi sovietici – commenta il bioinformatico Michail Gelfand – quando per inviare uno studio ad una rivista internazionale era necessario ottenere un permesso che dettagliava ricerche e risultati”. Un collega di Gelfand, Fiodor Kondrashov, biologo del Centre for Genomic Regulation di Barcellona, rincara la dose affermando che “il problema è che tutta la produzione scientifica è minacciata di poter essere classificata come segreto di Stato”.

L’iniziativa tanto contestata, inoltre, va contro gli sforzi del governo di rafforzare e internazionalizzare la scienza russa: Mosca non sta cercando di attirare scienziati di fama internazionale nel proprio territorio e di far salire il nome della storica università “Lomonosov” in cima alla top 100 dei migliori atenei di tutto il mondo? Gli scienziati si ritrovano quindi oggi nella stessa barca degli storici, costretti a “riscrivere” la storia della Russia in un unico manuale canonico approvato dallo stesso Vladimir Putin.

Lo spiacevole provvedimento rischia di mettere in pericolo non solo la modernizzazione della Russia in materia scientifica e di ricerca, ma anche di farle perdere i suoi scienziati migliori, che preferiranno l’espatrio e condivisione dei propri studi al silenzio e al segreto di Stato.

Foto: MGU

Chi è Claudia Bettiol

Nata lo stesso giorno di Gorbačëv nell'anno della catastrofe di Chernobyl, sono una slavista di formazione. Grande appassionata di architettura sovietica, dopo un anno di studio alla pari ad Astrakhan, un Erasmus a Tartu e un volontariato a Sumy, ho lasciato definitivamente l'Italia per l'Ucraina, dove attualmente abito e lavoro. Collaboro con East Journal e Osservatorio Balcani e Caucaso, occupandomi principalmente di Ucraina e dell'area russofona.

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3 commenti

  1. Laura Matelda Puppini

    Credo che in ogni stato ove sia possibile la pena di morte, se uno scienziato rivela un segreto di stato rischia che gli venga comminata la stessa, altrimenti rischia l’ergastolo.
    Infatti “Il segreto di Stato è un vincolo giuridico che determina l’esclusione di una determinata notizia dalla divulgazione al di fuori dell’ambito dei soggetti autorizzati, ponendo delle sanzioni nei confronti di chi violi tale obbligo.Tale tipologia di segreto è solitamente giustificata dalla necessità di tutelare la sicurezza nazionale e la pubblica incolumità.(https://it.wikipedia.org/wiki/Segreto_di_Stato.
    Pertanto violare un segreto di stato è azione gravissima.

  2. Le ricerche scientifiche, anche fatte da enti pubblici, non sono segreto di stato fino a prova contraria, a meno che non si parli propriamente di ricerche in campo prettamente militare finanziate dallo stato a scopo militare ed esplicitate come tali.

    Qui si parla di una certificazione ex post (a fine ricerca) di pubblicabilità o meno, che nei paesi moderni e liberi non esiste.

    • Laura Matelda Puppini

      Signor Umberto, non ho intitolato io l’articolo, nè l’ ho scritto. Qui si parla di scienza e segreti di stato. La frase di riferimento è: “In epoca sovietica per uno scienziato svelare un segreto di Stato significava rimetterci letteralmente la pelle”. Pertanto si rivolga all’autrice chiedendo perchè abbia intitolato e scritto così.

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