Da STEPANAKERT – Arrivando a Shoushi, seconda città per numero di abitanti del Nagorno-Karabakh, lo Stato che non c’è, si rimane accecati dalla chiesa principale. Ristrutturata coi fondi dei donatori internazionali, il suo marmo bianco brilla sullo sfondo delle montagne dell’Artsakh, come gli autoctoni chiamano questo stato di fatto indipendente grande poco più dell’Umbria, incastonato tra Armenia ed Azerbaigian. Un campanile separato dal corpo principale e un grande lastricato, sempre di luccicante marmo bianco, danno al luogo un’atmosfera magica e pacifica, tipica dei luoghi religiosi dell’Armenia. Ma, poco più avanti, all’incrocio a destra, la città ha una storia diversa da raccontare.
A pochi metri dalla chiesa dedicata al millenario culto armeno, c’è il quartiere musulmano di Shoushi. In mezzo a vie di fango senza asfalto e palazzoni sovietici truccati con colori shocking, ci sono le tracce di un mondo che non esiste più. Le rovine di un bagno persiano, di cui rimane in piedi solo la facciata, l’interno è adibito a discarica e in fondo alla via la Moschea Superiore, completamente abbandonata e traboccante di sterpaglie. Sul posto ci sono alcuni architetti iraniani, il governo di Teheran ha intenzione di restituire al tempio l’antico splendore. Uno splendore di cui godranno i turisti, non i fedeli. A Shoushi sono rimasti quasi solo cristiani.
Sulla via che scende nella vallata, si trovano due condomini dal diverso destino. Uno è ancora abitato, vestiti stesi ad asciugare e lamiere di ruggine come finestre. L’altro è completamente distrutto, messo a ferro e fuoco dall’artiglieria armena durante il conflitto, ufficialmente terminato nel 1994. Rimangono solo le mura e dentro, sulle scale, semi-sepolti dai calcinacci, spuntano disegni di bambini, cocci di piattini e tazzine per l’ultimo caffè turco. Di finestre e porte non c’è nemmeno più traccia, il vento circola senza ostacoli. Dietro il condominio, la Moschea Inferiore: la rete di protezione è tagliata, si entra senza fatica. Si può salire in cima al minareto spuntato del tetto o camminare dove una volta si inginocchiavano i fedeli. Le macerie di un’antica madrasa si affacciano ancora sul giardino retrostante.
È il 1992 e in Nagorno-Karabakh si combatte tra azeri e armeni. Storicamente e culturalmente armena, questa regione venne ceduta da Stalin all’Azerbaigian, per allestirsi la discesa del comunismo in Medio-Oriente. Al crollo dell’URSS, gli armeni rivendicano ciò che ritengono loro di diritto. Shoushi, o Shousha in azero, un tempo florido centro del Caucaso meridionale, è ora un obiettivo strategico. Dalle sue colline i soldati azeri bombardano la roccaforte armena adagiata sulla vallata, Stepanakert. Le truppe armene attaccano velleitariamente alcuni villaggi vicini come diversivo, per poi scagliarsi contro Shoushi in maniera rocambolesca. Scalano la parete di roccia retrostante, l’unico fianco lasciato scoperto dall’esercito azero. La sera dell’8 maggio entrano in città, scacciando i pochi civili azeri rimasti dopo la débacle. Nelle parole di Anna Mazzone, giornalista RAI e autrice per Sky TG24 di Nagorno Karabakh, la guerra dimenticata, “La conquista di Shoushi rappresenta una vittoria epocale per gli armeni. Poche armi, pochi uomini rispetto all’esercito azero e una vittoria che è entrata nella storia. È la vittoria di Davide contro Golia, è il piccolo che sconfigge il grande. È un passaggio epocale nella vicenda del Nagorno-Karabakh.”
Le schermaglie tra Armenia e Azerbaigian non si sono mai definitivamente concluse. Dall’estate del 2014 c’è stato un aumento degli scontri che ha portato, il mese scorso, anche a vittime civili. Un aumento che ha spinto alcuni a parlare di escalation, l’ipotesi di un intervento militare azero sarebbe plausibile. Fino ad oggi, però, questo “conflitto congelato” è servito ad entrambi i paesi come aggregatore dell’opinione pubblica nazionale e provvidenziale diversivo dalle questioni di politica interna.
foto: Federica Benazzo