Prosegue inarrestabile la deriva autoritaria orchestrata dal presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev. Un’operazione sistematica, che non riguarda solo le poche voci libere rimaste nel paese, ma sempre più spesso anche le organizzazioni internazionali, prese di mira per le attività di promozione dei diritti umani. Nell’ultimo anno, in particolare – con il silenzio o la complicità di molti governi europei (incluso il nostro) più interessati al petrolio e al gas di Baku che a sostenere chi rischia la vita – si è verificato un giro di vite senza precedenti.
Ultimo in ordine di tempo è il caso che ha coinvolto Amnesty International. Due membri della nota organizzazione sono stati bloccati all’aeroporto di Baku il 7 ottobre e deportati. Il tutto a meno di un mese dalle elezioni, previste per il primo novembre. A mettere in relazione le due cose è una delle due persone coinvolte nell’incidente, Natalia Nozadze, ricercatrice di Amnesty per il Caucaso del Sud: “Le autorità non ci hanno lasciato entrare perché hanno qualcosa da nascondere e perché non volevano che denunciassimo la repressione politica in corso e le violazioni dei diritti umani alla vigilia delle elezioni”.
Intervistata da East Journal, Nozadze spiega come l’incidente che l’ha riguardata sia in realtà da iscriversi in un quadro più ampio: “Il divieto ad Amnesty International è solo una delle misure più recenti che l’Azerbaigian ha intrapreso per limitare la supervisione internazionale. L’OSCE ha annullato la sua missione di monitoraggio per le elezioni presidenziali di novembre, affermando che erano state imposte loro troppe restrizioni. Nel mese di settembre, inoltre, l’Azerbaigian ha cancellato una visita da parte della Commissione europea dopo che il Parlamento europeo aveva invitato il governo a liberare gli attivisti dei diritti umani rinchiusi nelle carceri di Baku.”
Tornando al caso che l’ha coinvolta, Nozadze ha ricordato come l’Azerbaigian debba ancora fornire una giustificazione ufficiale dell’accaduto. Nonostante la deportazione e il divieto, la ricercatrice di Amnesty ha proseguito senza esitazione: “continueremo a lavorare attivamente sulle questioni dei diritti umani, pur non avendo accesso al paese”.
Un lavoro quantomai indispensabile, in un momento particolarmente difficile per il paese, come ricorda la stessa Nozadze: “Giornalisti critici, difensori dei diritti umani, membri dell’opposizione e attivisti civili sono stati molestati o gettati dietro le sbarre con false accuse. L’Azerbaigian in questo momento detiene più di 20 persone considerate da Amnesty International come prigionieri di coscienza. Sono stati incarcerate semplicemente per essersi opposte in modo pacifico al governo e alle sue politiche o per aver aiutato le vittime di violazioni dei diritti umani”.
Quello che si profila a Baku è, dunque, un mondo alla rovescia, dove chi mente o tace sui crimini e la corruzione imperante viene premiato – come molti pseudo-giornalisti e improbabili ONG create ad hoc dal regime – e chi lotta per un Azerbaigian più giusto viene perseguitato come un nemico.
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Foto: Mehman Huseynov