La Bosnia-Erzegovina presenterà entro fine anno la propria candidatura per l’adesione all’Unione europea. Una accelerata, per il paese balcanico, che fa seguito all’entrata in vigore, il 1° giugno scorso, dell’Accordo di stabilizzazione e associazione con l’UE, rimasto a lungo bloccato.
“La Presidenza ha incaricato il Consiglio dei Ministri di stilare un rapporto sulla preparazione della Bosnia-Erzegovina a presentare la domanda di adesione all’Unione Europea, che la Bosnia invierà non più tardi del 31 dicembre 2015.” Così recita il comunicato della Presidenza tripartita dopo la seduta dell’8 ottobre. Solo il giorno prima, il ministro degli esteri bosniaco, Igor Crnadak, era a Berlino dall’omologo Frank-Walter Steinmeier per fare il punto sul percorso di Sarajevo nell’“agenda di riforme” e nel “patto per la crescita” concordati con l’UE.
A seguito dell’entrata in vigore dell’Accordo d’associazione, la Bosnia ha ora in corso negoziati per la conclusione di un Protocollo a tale accordo che tenga conto dell’ingresso della vicina Croazia nell’UE, avvenuto nel frattempo. L’accordo bosniaco infatti era stato firmato nel 2006 ed è entrato in vigore solo quest’anno; nel frattempo, la Croazia ha fatto a tempo a concludere i negoziati d’adesione e accedere come 28° stato membro UE. E il tempo, a Sarajevo, inizia ad essere un fattore sempre più scarso, per non rimanere definitivamente indietro.
Come ricorda l’analista politico dell’ESI, Adnan Ćerimagić, “dalla presentazione della domanda d’adesione all’apertura dei negoziati sono passati 2 anni e 8 mesi per la Croazia, 3 anni e 6 mesi per il Montenegro, 4 anni e un mese per la Serbia. Se la Serbia aprirà il primo capitolo di negoziato a seguito del Consiglio europeo di dicembre, vorrà dire che ci sono voluti 6 anni e 1 mese. E’ con l’apertura dei capitoli di negoziato che inizia la trasformazione dello stato, con il sostegno finanziario per chiare e concrete riforme. Fino ad allora, si tratta solo di belle parole. Se la Bosnia-Erzegovina facesse domanda d’adesione a gennaio 2016, al ritmo attuale potremmo aspettarci di aprire i negoziati sul primo capitolo d’adesione – se va bene – nel 2022.”
La strada verso Bruxelles, per Sarajevo, resta lunga, e troppi dossier sono ancora irrisolti. Uscire dalla palude, tuttavia, sembra già un primo passo. L’obiettivo è quello di tornare allo spirito del periodo 2000-2006, quando la Bosnia rafforzò le proprie istituzioni e negoziò con Bruxelles l’accordo d’associazione. A partire dal 2006, l’ascesa al potere di Milorad Dodik in Republika Srpska ha bloccato il funzionamento di varie istituzioni, a partire da quel Direttorato per l’Integrazione Europea che avrebbe dovuto essere il traino del percorso di integrazione europea del paese, e che invece è rimasto solo a rimorchio, per . La presentazione della domanda d’adesione da parte della Presidenza e del governo – da cui il partito di Dodik SNSD è escluso dalle scorse elezioni – potrebbe anche essere una mossa per spiazzare il Presidente-padrone di Banja Luka e convincerlo a rimettere nel cassetto, almeno per ora, la minaccia di referendum sul sistema giudiziario statale e sull’autorità dell’Alto Rappresentante internazionale, inizialmente annunciato per settembre e poi rimandato a novembre.
Quello bosniaco potrebbe sembrare un passo azzardato, per alcuni, ma anche una maniera per cercare di accelerare il percorso d’integrazione europea del paese. A gennaio il timone del Consiglio UE passerà nelle mani dei Paesi Bassi, un paese con una storia di relazioni travagliate con i paesi dei Balcani, e con la Bosnia in particolare. La posizione delle istituzioni olandesi, severa ma costruttiva – magari accoppiata ad una valutazione positiva della Commissione europea nel suo rapporto annuale, in uscita tra poche settimane – potrebbe essere favorevole alla Bosnia. Si completerebbe così il percorso avviato un anno fa, con quell’iniziativa diplomatica anglo-tedesca che ha “resettato” le relazioni tra UE e Bosnia, dopo anni persi a cercare un accordo sulla riforma della Costituzione di Dayton (che a novembre compie 20 anni) e sul dossier Sejdic-Finci, e che ha portato alla già citata entrata in vigore dell’accordo d’associazione.
Già nel giugno 2014, l’ESI ricordava come anche in altri casi in passato – la Croazia, ma anche Macedonia, Montenegro o Serbia – vari stati membri avessero cercato di dissuadere i paesi dei Balcani occidentali a fare domanda d’adesione UE, ma come poi – una volta presentata questa – il processo si fosse messo in moto, con la domanda da parte del Consiglio UE alla Commissione di preparare un’opinione sul paese. Alcuni paesi, inoltre, non avevano nemmeno atteso che i propri accordi d’associazione entrassero in vigore. Nel 2003 il processo di adesione della Croazia era al palo, con alcuni stati membri che consideravano insufficiente la cooperazione del paese con l’ICTY. Zagabria uscì dall’angolo presentando domanda d’adesione, e ricevendo un’opinione positiva della Commissione nell’aprile 2004; il suo accordo d’associazione entrò in vigore solo a inizio 2005. Ancora più speditamente, la Slovenia presentò la propria domanda d’adesione il 10 giugno 1996, lo stesso giorno in cui firmava l’accordo d’associazione. “In tutti questi casi – ricordava l’ESI – la decisione di presentare domanda formale di adesione all’UE implicava una dose di coraggio e di determinazione. Queste qualità, apparentemente a corto tra la leadership politica bosniaca, sono ciò di cui il paese ha bisogno se vuole raggiungere i suoi più avanzati vicini.”
Foto: Sarajevo, Paola Dottor. Articolo pubblicato in contemporanea da Osservatorio Balcani e Caucaso e East Journal
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