I conti ucraini sono in profondo rosso e la guerra, oltre che militare, è anche finanziaria. Le ultime notizie da questo secondo fronte non sono affatto buone. Il governo di Kiev, per bocca del ministro delle Finanze,Natalie Jaresko, è impegnato in un braccio di ferro con i creditori privati perché questi mandino giù senza troppe storie un piano di ristrutturazione del debito ucraino. In parole povere Kiev vuole rivedere le condizioni originarie del debito contratto, ovvero tagliando il valore dei tassi di interesse, prolungando le scadenze per i rimborsi, al fine di alleggerire l’onere per le casse (vuote) dello stato. Si parla anche dihaircut, ovvero di una riduzione del valore del capitale. Questo, secondo la Jaresko, è l’unico modo per far fronte alla crisi di liquidità che attanaglia il paese.
A opporsi a tali prospettive sono i creditori privati, quasi tutte corporation americane (Franklin Templeton, la società di investimento TCW; il gestore di Baltimora T. Rowe Price), ma anche il principale paese creditore dell’Ucraina, cioè la Russia, che di ristrutturazione non vuole nemmeno sentir parlare. Ecco che sul fronte della guerra finanziaria, le alleanze sono inedite e saldano gli interessi (pubblici) russi a quelli (privati) americani. Certo, se il paese è insolvente meglio prendere poco che niente, accettando la ristrutturazione del debito, ma l’Ucraina è davvero insolvente?
A far fronte alla crisi di liquidità ci sarebbe il Fondo monetario internazionale (FMI) che ha ribadito la propria intenzione di sostenere l’economia ucraina. I prestiti del FMI tuttavia sono erogati a seguito di alcune condizioni e sono vincolati a una serie di riforme economiche che il paese deve mettere in pratica pena il blocco degli aiuti economici. L’Ucraina ha così iniziato un doloroso programma di privatizzazioni e liberalizzazioni, ma anche di tagli alla spesa pubblica che hanno colpito i sussidi di cui godeva la popolazione (si stima che nel 2012 una cifra pari al 7.5% del Pil sia stato distribuito sotto forma disussidi).Tuttavia gli sforzi del governo di Kiev sono vani: la guerra ha sensibilmente peggiorato la situazione economica ucraina e il bacino minerario del Donbass – l’area più ricca del paese – è attualmente occupato dalle forze filorusse. Mettere in campo le misure imposte dal FMI è impossibile, e questo Christine Lagarde, a capo del Fondo, lo sa bene e i prestiti vengono erogati “sulla fiducia” rispondendo, più che a ragioni economiche, a ragioni politiche.
La presenza del FMI in Ucraina è infatti assai discutibile. Il Fondo monetario internazionale dovrebbe operare in paesi che soffrono una momentanea crisi di liquidità e di un passivo nella bilancia dei pagamenti, offrendo prestiti a corto termine. Non dovrebbe – ne sarebbe sensato – agire in paesi in guerra, come l’Ucraina. Ci si può dunque chiedere perché il FMI sia intervenuto nel contesto ucraino e la risposta va cercata nel ruolo sempre più politico che svolge, quale leva finanziaria degli interessi statunitensi e occidentali.
Ancora più discutibile è la scelta degli intermediari di cui il FMI si avvale. Su iniziativa della Germania – che stanzia propri fondi per la ricostruzione destinati al governo ucraino – il Fondo monetario internazionale ha incaricato tre esponenti del mondo economico ucraino di individuare le modalità di allocazione dei fondi erogati. Come spiegato da Pierluigi Mennitti su Il Foglio di questa “troika informale” fanno parteDmitry Firtash – oligarca del gas e dei media legato alla mafia russa e recentemente arrestato a Vienna -; Rinat Akmetov –”l’oligarca degli oligarchi” i cui interessi si concentrano nel Donbass – e Viktor Pinchuk, oligarca “pro-europeo” che fece i soldi ai tempi di Leonid Kuchma, il padre-padrone dell’Ucraina nei primi anni novanta, di cui sposò la figlia. Attorno a questi tre personaggi si raccoglie una serie di consulenti francesi, tedeschi, austriaci e britannici, raggruppati nell’Agenzia per la modernizzazione dell’Ucraina. Da questa struttura dipenderà anche come allocare i soldi del Fondo monetario internazionale. Non è forse un caso che l’istituzione di questa Agenzia per la modernizzazione sia avvenuta a Vienna pochi giorni dopo l’arresto (e il rilascio) di Firtash ricercato per le sue attività finanziarie illecite.
La “troika informale” è composta da oligarchi ucraini che hanno forti legami con il Cremlino: laRosUkrEnergo di Firtash, che importa gas dalla Russia, è controllata al 20% da Gazprom, agenzia energetica pubblica russa. Firtash, però, è anche consulente economico del presidente ucraino Poroshenko. Akmetov è l’oligarca dell’acciaio, il più potente e influente fra gli oligarchi ucraini, con interessi nel Donbass occupato dai filorussi, già fedele alleato di Yanukovich, che aveva interessi economici nella regione di Slaviansk, Insomma, la scelta di questi individui dimostra come la partita finanziaria sia molto più torbida di quel che si immagina: non due schieramenti contrapposti, che combattono a supporto del fronte militare, ma una rete di interessi condivisi e inestricabili che va da Berlino, a Vienna, a Kiev a Mosca e che, dietro il paravento della guerra del Donbass, cerca solo di dividersi il potere economico e l’influenza politica.