Si chiama Rinat Akhmetov ed è l’oligarca tra gli oligarchi ucraini, colui che possiede più di tutti e, come da regola consuetudinaria ucraina, conta anche più di tutti. Probabilmente molto più dell’altro oligarca tanto popolare in questo momento: il neo presidente Petro Poroshenko. Quest’ultimo, come abbiamo già avuto modo di dire, si occupa di dolciumi, mentre Akhmetov fa sul serio e si occupa di investimenti, di miniere, di industria pesante e, tanto per non essere da meno dei suoi colleghi russi, di calcio. Un oligarca vero, verrebbe da dire.
Con un patrimonio stimato di circa 12 miliardi di dollari, che lo posizionano tra i primi cento uomini più ricchi del pianeta, ha la base della sua fortuna proprio nel Donbass, la zona dell’Ucraina orientale con capoluogo Donetsk dove hanno luogo gli scontri che impazzano ormai da molte settimane. Si ipotizza che abbia sul proprio libro paghe, o meglio a libro paga della SCM, la società di cui è l’unico proprietario, circa 300.000 persone ed è quindi inimmaginabile che succeda in quelle zone qualcosa che a lui non piaccia e soprattutto è impensabile che possa avvenire una separazione, senza che lui l’abbia avallata, di quelle regioni che stanno all’Ucraina come la Ruhr sta alla Germania sia in termini strategici sia economici.
Akhmetov iniziò ad avere una certa popolarità a cavallo degli anni ’80, durante i quali si avvicinò molto ad Akhat Bragin uno dei capi della criminalità organizzata che ha imperversato nella regione. Non era un santo Bragin, e si può immaginare che non lo fosse neanche Akhmetov. Purtroppo, come funziona in Ucraina, gran parte dei fascicoli a suo nome sono misteriosamente spariti negli anni ed è quindi difficile dire con esattezza di quali reati sia stato colpevole, ma ci sarebbe da giurarci che non siano pochi.
Il suo mentore, il mafioso Bragin, salta in aria misteriosamente allo stadio nel 1995 e Akhmetov, che ne è l’erede spirituale oltre che economico, inizia la sua vita pubblica abbandonando, quanto meno di facciata, le attività illegali, preferendo i ben più redditizi acquisti a prezzo di discount di aziende privatizzate: quando partecipava all’asta, sempre che essa fosse pubblica, si sapeva che era meglio non prenderne parte per evitare rischi all’incolumità personale. Quelli sono gli anni in cui regna l’anarchia ed in cui il Donbass è una zona totalmente sotto controllo delle mafie locali e della criminalità organizzata.
Akhmetov riesce a spiccare sopra a tutti gli altri signorotti locali, riuscendo lentamente a prendere il controllo del Donbass e allontanando buona parte dei suoi competitor. Nel frattempo è anche colui che offre un numero maggiore di posti di lavoro e che porta benessere nella regione: una commistione tra malaffari e potere che diventa sempre più alla luce del sole e sempre più regolarizzata. Le azioni sporche non si svolgono più attraverso armi e regolamenti di conti, ma attraverso spostamenti di capitali in paradisi fiscali, attraverso acquisti di aziende a prezzi irrisori e mettendo propri uomini nelle posizioni chiave.
È Akhmetov che nel 1997 riesce a far posizionare un proprio uomo a capo della Regione di Donetsk; questo uomo aveva precedenti penali, non aveva alcuna preparazione culturale e faceva addirittura difficoltà a parlare in pubblico: si chiamava Viktor Yanukovich.
Akhmetov è riuscito ad impossessarsi lentamente di tutti i gangli dell’economia ucraina direttamente, o tramite suoi uomini, e l’elezione di Yanukovich, che negli anni ha fatto strada, è merito proprio dell’oligarca del Donbass, che lo ha finanziato e che lo ha saputo guidare fino allo scranno più alto dell’Ucraina. Peccato che poi Yanukovich abbia deciso di buttarsi sugli affari, e di intascare sempre di più fino ad innervosire lo stesso Akhmetov, che al suo delfino ha concesso tutto fino a quando non si è visto pestare i piedi. È lì che probabilmente ha iniziato a storcere il naso, ed è lì che sono iniziate le grane per Yanukovich. Certo, i due rimanevano amici e lo stesso Yanukovich prima di scappare in Russia l’ha voluto incontrare, ma Akhmetov – che non avrebbe fatto una guerra personale per difenderlo – l’ha di fatto liquidato. Gli affari per lui erano di certo più importanti di una sua creatura politica che si può sostituire facilmente.
Si può dire che abbia un certo fiuto, non solo per gli affari, e prima di prendere una decisione attende per essere certo che sia quella giusta. È per questo che probabilmente negli ultimi mesi ha tenuto i piedi in due scarpe, da un lato ha sempre asserito di essere a favore dell’integrità ucraina, di una forte autonomia per il Donbass ma sempre all’interno dell’entità statuale con a capo Kiev, ma dall’altro canto ha anche cercato di non inimicarsi i separatisti ben sapendo che qualora Putin avesse impegnato le sue forze per portare alla secessione la sua regione per lui sarebbe stato indispensabile poter affermare di aver aiutato i secessionisti. Non è quindi strano che Pavel Gubarev, uno dei capi dell’autoproclamato governo del popolo, abbia asserito che da Akhmetov siano giunti molti soldi a favore della causa. Ma Putin sembra aver voltato le spalle al progetto di secessione del Donbass ed Akhmetov, che sapeva che il Presidente russo sarebbe stato l’unico a poter avere più potere di lui nella regione, è tornato ad avere campo libero.
Ridottisi i rischi per un intervento militare russo Akhmetov ha così fatto due calcoli, gli stessi calcoli che lo avevano portato ad appoggiare, seppur nell’ombra come suo solito, il riavvicinamento a Kiev in cambio di una forte autonomia per la regione di Donetsk e Lugansk. Stare con Kiev significa, in questo momento, guardare all’Europa e la sua azienda ha più interesse ad avvicinarsi al ricco mondo finanziario occidentale, dove le regole sono chiare e dove si può presentare come un salvatore della patria, che essere uno dei tanti oligarchi in Russia e rischiare di vedersi mangiare una buona fetta del proprio mercato. E poi l’Europa e gli Stati Uniti, con il forte coinvolgimento che hanno avuto in questa brutta storia, dovranno continuare ad inserire nell’Ucraina liquidità, non potranno farla fallire anche per evitare che torni ad abbracciare Putin. Akhmetov ne è consapevole, e vuole gestire questi soldi da protagonista.
Ecco che ha rotto gli indugi e prima il 14 maggio dichiara che la causa separatista è sbagliata, e poi il 15 maggio porta in piazza a Mariupol numerosi lavoratori delle sue aziende per manifestare contro i separatisti. Miracolosomente a Mariupol non si spara più: Akhmetov può dove l’esercito fallisce! Non contento il 19 maggio, decisa ormai la strategia, va in televisione e dal canale “Ucraina” rilascia una dichiarazione che sembra più il discorso di un capo di Stato: critica i rivoltosi accusandoli di essere responsabili del genocidio di Donetsk e chiede ai suoi operai, così come a tutti gli operai, di avviare una pacifica protesta sul posto di lavoro ogni giorno, a mezzogiorno.
Akhmetov ha scelto, la pace aiuta molto più i suoi affari rispetto alla guerra, e l’Ucraina gli lascia maggiori possibilità di guadagno; l’autonomia che, con tutta probabilità, verrà concessa, lo renderà di fatto il capo indiscusso della regione senza troppi coinvolgimenti di Kiev.
Se fino ad oggi l’Ucraina sembrava in bilico, ora, con l’apparente accettazione dell’elezione di Poroshenko da parte di Putin e la discesa in campo di Akhmetov, si vede per la prima volta la luce alla fine del tunnel dopo mesi e mesi in cui la nazione è stata sull’orlo della guerra civile, se non dentro. Si spara ancora, ma i separatisti da soli possono ben poco e lo sanno, e al di fuori di azioni molto dispendiose in termine di vite umane non hanno grande possibilità di azione. Ci sono spazi per tornare alla normalità: quella normalità che in Ucraina significa oligarchia e poco altro.
A Novembre come oggi a Kiev comandava un oligarca ed in Donbass regnava Akhmetov. Oggi a Kiev c’è un nuovo oligarca ed in Donbass sempre l’uomo più ricco di Ucraina. Al cambiare degli oligarchi, il risultato non cambia: è così che va il mondo da queste parti!
ottimo articolo. peccato che da noi ci siano molti sciocchi nostalgici che credono ancora esista l’unione sovietica.
Manca, mi permetto di rilevare, la logica conseguenza della conclusione dell’articolo.
Se da quelle parti è tutto e solo un gattopardesco trasformismo, la netta presa di distanza dai separatisti e il pubblico appoggio all’unità ucraina, può voler dire che gli oligarchi hanno deciso chi, alla lunga, può vincere, ma soprattutto chi è destinato a perdere (tranne ovviamente un clamoroso “sbaglio” di valutazione o una incongrua passione nazionalista….).
Visto che questi signori agiscono, per definizione, per il proprio tornaconto, direi che la Russia, la zona economica eurasiatica e le prospettive di un Donbass russo, non allettano più, anzi da qualche tempo vengono percepite come “provinciali”, superate e prive di vero appeal, mentre L’EU con tutte le sue pecche sembra più interessante e capace di promuovere gli interessi del portafoglio (e magari, quale sottoprodotto, dell’Ucraina). D’altronde la Polonia venticinque anni fa era forse più arretrata rispetto all’Ucraina, ma ora decisamente si colloca molto diversamente dalla ex sorella sovietica.
Direi che questa è la ragione per cui nonostante tutte le etnicità, pochi hanno voglia di tornare indietro e quello che oggi la Russia di Putin può offrire, non interessa più, ne tantomeno si trovano molti disposti a rinunciare ai nuovi standard.
Ottimo articolo. Che in qualche modo conferma quanto già sospettassi. Che il sogno di certuni di ritenere l’Ucraina matura per l’ingresso nell’EU era frutto soprattutto di una problematica digestione. Riparliamone fra vent’anni.
Gli equilibri o meglio gli disequilibri che si stanno creando e ricreando in quelle regioni, e non intendo solo l’Ucraina, ma a questo punto la zona tra la Moldavia e il Caucaso, non permetteranno un rimando di vent’anni, pena una cancrena infinita che potrebbe avvelenare non solo gli immediati attori, ma avere ripercussioni dal centro Europa al vicino Oriente.
L’attivismo putiniano ha messo in moto, meglio, ha accelerato avvenimenti che non potranno essere semplicemente accantonati o dimenticati, ma richiederanno risposte anche radicali. L’illusione del ritorno al “business as usual” non funziona e mostrerà sempre di più la sua inefficienza in mancanza di proposte convincenti
In tal caso, se si ritiene la sgangheratissima Ucraina un candidato credibile, che la Sig.ra Merkel lo dica chiaramente: “Die Europaische Union ist ein Zirkus Barnum!!” E niente più compiti a casa per chicchessia. In realtà, se i dirigenti europei non sono del tutto desiderosi di mettersi in pancia una bomba ad orologeria (da non escludersi del tutto), non vedo per l’Ucraina che un percorso lungo e faticoso. Fatto di tanti compiti a casa e di qualche materia portata a settembre. Questo, ripeto, se l’EU vuole essere una cosa seria. Altrimenti, non si vede perchè l’Italia dovrebbe rinunciare a tanta parte della sua sovranità per stare dentro un carrozzone che imbarca proprio tutti.
Mah! nessuno ipotizza corsie preferenziali o scorciatoie. Certo che la Polonia nei primi anni novanta non era in una situazione così diversa da quella dell’Ucraina di oggi, anzi era ancora più ingessata dalla precedente, ma ancora incombente, pianificazione industriale di stampo sovietico, eppure ne ha fatta di strada. Questo significa che è possibile se c’è determinazione nel perseguire lo scopo e la volontà politica di raggiungerlo.
Stesso discorso, con oggettive minori difficoltà, per Moldovia e Georgia.
Non saprei proprio cosa dirLe. Non vedo quale analogia possibile ci sia tra la Polonia dei primi anni novanta e l’Ucraina. L’Ucraina, a differenza della Polonia, nasce gia nel 1991 come stato fallito. Una classe politica di ladri che intendono il governo come occasione di saccheggio. In vent’anni non un tentativo serio di fondare una identità nazionale unificante tra le due metà del paese, nè una memoria condivisa. Pendolare fra Est e Ovest in cerca del migliore offerente. Chi vince prende tutto e distrugge l’avversario, ecco la storia dei vent’anni (sprecati) di indipendenza ucraina. Il politico che forse più ha fatto per l’Ucraina è forse Kuchma (e con questo ho detto tutto): per il resto non mi viene in mente alcun politico ucraino al quale farei amministrare financo il mio condominio. La Polonia invece, è uno stato serio, con una identità nazionale molto forte ed una popolazione omogenea. Il solo tratto in comune è che parte dell’Ucraina è stato sotto il dominio polacco-lituano. Fine dell’analogia. Ma poi le mette in mezzo nientepopodimenoche la Moldovia e la Georgia e, allargando sconsolato le baccia Le domando: e i nani e le ballerine? Loro, li lasciamo fuori? Temo che l’idea di Unione Europea che Ella coltiva, sia una sorta di museo etnologico. Una collezione di curiosità scientifiche da mostrare alle scolaresche. Ma dal punto di vista della plausibilità politica, una barzelletta.
La mia idea dell’UE sarà quella di un museo etnografico, ma mi pare di capire che la sua sia quella di un esclusivo club di primi della classe, La politica, ed anche l’economia, si fanno con quello che c’è a disposizione, anche nani e ballerine all’occorrenza.
Non mi pare che sia il caso di scomodare Jogaila, Edvige e tutti gli Jagelloni, sicuramente l’Ucraina ha sperimentato la statualità, prima ancora dell’identità nazionale, per meno tempo della Polonia. La classe politica ucraina è ovviamente frutto più dei settant’anni di autoritarismo sovietico che dei vent’anni di indipendenza, Ma tutto sommato l’Ucraina ha un sistema politico capace di assicurare almeno un’alternanza democratica e spazi di partecipazione e rappresentatività: In Ucraina gli ingombranti padri della patria li hanno mandati in pensione, una reale alternanza tra filooccidentali e filorussi c’è stata, Maidan assomiglia sicuramente ad un colpo di stato, ma dimostra almeno la capacità di superare un regime corrotto, inefficiente e semiautoritario. messaggio chiaro a qualsiasi oligarca futuro, non vedo niente di tutto questo in paesi come Russia, Bielorussia, Kazakistan ecc..(dimentichiamoci Cecenia, Abkhasia, Ossezia).
Le somiglianze le trovavo sul piano della struttura economica e sociale: demografia, industria pesante, livello di istruzione, agricoltura della Polonia e dell’Ucraina nei primi anni 90 non erano affatto diversi. Entrambe uscivano dall’esperienza soffocante e deprimente della pianificazione sovietica. La differenza sostanziale è stata che la Polonia ha potuto percorre liberamente una certa strada, l’Ucraina invece è rimasta prigioniera dello “spazio russo”, degli umori e delle depressioni di uno scomodissimo “grande vicino”. Concordo con Lei che finora tutti i tentativi di liberarsi di questa tutela sono falliti (vedi la gigantesca bustarella promessa da Putin a Janukovyč e adesso le squadre paramilitari russe che scorrazzano per l’est Ucraina, tanto per citare gli ultimissimi eventi), ma questo non deve impedirci di riprovarci.
gentile Sig. Gian Angelo, devo ribadirLe il mio dissenso. Il fatto è che un Europa diluita a dismisura (si è parlato seriamente di Turchia e qualcuno, in modo meno serio, ci mise pure Israele, qualche anno fa), è un non senso. L’EU ha già seri problemi di governance adesso, imbarcando proprio tutti non funzionerà mai. Oltretutto si tratta di paesi estremamente problematici. Allora mettiamoci anche il Kosovo di Thaci ed il Montenegro di Djukanovic. Non è questione di primi della classe. L’Europa non è un unità di pronto soccorso dove stati falliti arrivano per esservi curati. Ma una Comunità che richiede il possesso di alcuni requisiti. Prima studiare, e tanto, poi sostenere l’esame di ammissione. Altrimenti si verificherebbe il paradosso per cui un paese come il Nostro, viene costretto alla umiliazione dei compiti a casa e delle “letterine” della BCE, e gli stessi maestrini accolgono in classe…l’Ucraina!! Suvvìa. Lei ha citato Yanukovitch, splendido esempio della mentalità di quelli là. Dipinto a mio parere in modo grottesco come un antieuropeo burattino di Putin, il deposto Presidente aveva praticato in realtà la prassi ucraina di sempre. Avere il piede in due scarpe, per mungere contemporaneamente la mucca UE e quella Euroasiatica. Senonchè Putin gli fece notare che la cosa sarebbe stata ingestibile, se non altro per il caos normativo che si sarebbe creato, oltre che poco seria. Yanukovitch si fece i conti della serva e scelse. Apriti cielo! Tanto per citare gli ultimissimi eventi, è del tutto inutile prendersela con l’ingerenza russa nell’Est Ucraina. Qualsiasi Potenza, pur piccola che sia, interviene in quello che considera la sua area di interesse. Figuriamoci se gli Usa, la Francia o Israele non esercitano ingerenze. In Ucraina hanno interferito tutti: gli USA e la Russia, certamente. La Germania, la Polonia, la Svezia. Persino i simpatici Baltici, come potenza regionale plausibili quanto il Liechtenstein, sono riusciti, incredibile a dirsi, a ritagliarsi un ruolo nella vicenda. Il perchè è presto detto: gli ucraini, rimasti ad un idea di appartenenza di tipo clanico-mafioso, non hanno sviluppato gli anticorpi per resistere a tali pressioni. Col che, sapendo di poter essere smentito domani stesso dalla “lungimirante” Bruxelles mi viene da dire: riparliamone fra vent’anni.
Per quanto riguarda i possibili allargamenti dell’EU e conseguenti rapporti tra nuovi e vecchi membri, evidentemente ognuno rimane della propria opinione.
Circa la Realpolitik della scontata accentazione delle autopretese zone di influenza che ognuno si ritaglia e della loro validità erga omnes, bisognerà vedere se la Russia di oggi è in grado di affermarle e difenderle, oltre che sventolarle a destra e manca.
Il braccio di forza a livello internazionale sicuramente si risolverà, prima dei prossimi vent’anni, per quello intereuropeo il processo di adesione può durare dai 5 ai 10 anni, per quello interucraino potremo risentirci effettivamente tra vent’anni.
Au revoir, à bientôt, adieu … scelga Lei l’orizzonte temporale.
31 maggio – Gli Stati Uniti e l’UE devono continuare le pressioni sulla Russia. Lo ha detto l’ambasciatore americano in Ucraina Jeffrey Payette. Le elezioni in Ucraina hanno avuto luogo grazie alle sanzioni che sono state adottate contro la Federazione russa, – ha aggiunto.
31 maggio – I militanti continuano a tentare di fuggire da Slovians’k bloccato dalle forze dell’operazione antiterrorismo (ATO), – comunica il capo del gruppo operativo per l’informazione della ATO Vladyslav Selezniov.
31 maggio – A partire dal 1 giugno la Russia blocca ufficialmente la circolazione della moneta ucraina nel territorio dell’annessa Crimea. In relazione a ciò negli ultimi giorni di maggio si è verificato un afflusso di clienti senza precedenti nei negozi e nei supermercati della Crimea. Alle casse ci sono code immense di chi vuole spendere le hrivne. A detta dei testimoni, gli abitanti della Crimea stanno acquistando di tutto.
31 maggio – In Crimea, a causa dell’occupazione russa, la stagione estiva e balneare si è aperta praticamente con zero turisti. Nemmeno i turisti russi sono venuti in Crimea – anche loro hanno paura. Ricordiamo che il turismo è la principale fonte di reddito degli abitanti della Crimea.
31 maggio – La compagnia petrolifera ExxonMobil, avendo vinto la gara d’appalto per il sito Skifskyi nella piattaforma meridionale ucraina del Mar Nero, ha abbandonato i suoi piani a causa dell’annessione della penisola della Crimea da parte della Russia, – ha dichiarato l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina Jeffrey Payette.
31 maggio – A partire dal mese di aprile continuano ad arrivare sul territorio delle regioni sud-orientali dell’Ucraina attraverso il confine con la Russia dei militanti che costituiscono la base del battaglione “Vostok” – una formazione militare della autoproclamata Repubblica Popolare di Donets’k creata per far fronte all’esercito ucraino. Queste persone hanno attraversato il confine con l’Ucraina in gruppi di 5-10 persone dicendo che il loro scopo era far visita ai loro parenti in Ucraina. Il reclutamento di questi terroristi avviene attraverso gli uffici di reclutamento della Federazione russa. In questo modo, la Russia, volendo mascherare il proprio coinvolgimento in questi affari, sostituisce il proprio personale militare con i mercenari e i veterani dei servizi speciali russi, non essendo questi “in servizio attivo”.