Europei nazionalismo

BALCANI: Europei 2024, tra sport e nazionalismo

Agli Europei di calcio in corso in Germania hanno partecipato cinque squadre balcaniche. Mentre sul lato sportivo Albania, Croazia e Serbia sono uscite dal torneo ai gironi, mentre Slovenia e Romania si sono ben comportate arrivando fino agli ottavi di finale, a fare notizia sono state le rispettive tifoserie, protagoniste di nuovi tristi episodi di nazionalismo. 

Scrivere dei paesi balcanici vuol dire spesso raccontarne gli eccessi, sia in positivo che in negativo, anche nel mondo sportivo. Agli Europei di calcio in Germania le squadre balcaniche partecipanti erano cinque (Croazia, Serbia, Slovenia, Albania e Romania) e le loro tifoserie al seguito si sono fatte nuovamente riconoscere, sebbene in modi diversi, soprattutto fuori dal campo e sugli spalti.

Il nazionalismo sugli spalti

Povere di punti nei rispettivi gironi, ma prime in termini di multe a causa dei comportamenti dei propri tifosi. E’ il triste primato di  Croazia, Albania e Serbia. L’episodio più eclatante si è verificato nella seconda gara del girone B, nella quale i tifosi di Croazia e Albania si sono uniti per cantare cori insultanti e violenti contro i serbi, e lo slogan “Uccidi un serbo” si è sentito chiaramente in diretta televisiva. Anche nelle altre due partite disputate, i tifosi albanesi e croati hanno esposto striscioni con messaggi nazionalisti e si sono fatti notare per l’accensione di torce e fumogeni e lancio di oggetti in campo, che sono costati alle rispettive federazioni pesanti multe.

I cori violenti finiti in mondovisione non sono ovviamente piaciuti alla federazione calcistica serba, la quale nei giorni successivi ha anche minacciato, tramite il segretario generale della Federcalcio, di ritirarsi da Euro 2024 se Albania e Croazia non fossero state punite. La tifoseria serba tuttavia non è stata da meno, come dimostra lo striscione esposto nelle partite del girone che mostrava il Kosovo come parte della Serbia accompagnato dallo slogan “Nessuna resa”. Messaggio subito condannato dalla federazione kosovara e che è costato alla Federcalcio di Belgrado oltre 4,000 euro di multa. I tifosi della nazionale serba, inoltre, si sono fatti notare per scontri violenti al di fuori degli stadi e per il lancio di oggetti ai giocatori avversari durante la partita contro la Slovenia.

Se in campo la Slovenia ha fatto decisamente bene, uscendo agli ottavi con il Portogallo ai calci di rigore, sulle tribune i tifosi hanno invece resuscitato temi e slogan dello scorso secolo. In particolare all’Allianz Stadium di Monaco è stato esposto uno striscione con scritto “Trst je naš” (Trieste è nostra) con riferimento alla breve e violenta occupazione della città di Trieste nel 1945 da parte delle forze jugoslave comandato dal Maresciallo Tito. Lo slogan è passato in secondo piano rispetto alle “imprese” dei tifosi albanesi, croati e serbi, ma è stato giustamente stigmatizzato da chi ha vissuto quelle vicende e in generali dagli abitanti italiani di Trieste.

Simile il percorso sportivo della Romania, anch’essa eliminata agli ottavi dopo aver giocato un ottimo girone, ma anche lei al centro di polemiche per alcuni atteggiamenti poco ortodossi tenuti dai numerosi tifosi presenti in Germania. Se i presunti cori a favore di Putin nella partita di esordio contro l’Ucraina si sono poi rivelati una clamorosa fake news, sono invece vere le multe per la federazione (84.000 euro totali nelle tre partite dei gironi), le risse per le strade e i numerosi arresti e fermi di persone già note alle autorità tedesche come estremisti e violenti.

Non solo tifosi

Oltre ai tifosi, a volte sono stati anche i calciatori, e addirittura i giornalisti, ad eccedere in comportamenti da condannare. Il calciatore in questione è Mirlind Daku, giocatore dell’Albania nato in Kosovo, che al termine della partita con la Croazia ha intonato al megafono cori insultanti verso macedoni e serbi. Azione che gli è poi valsa due giornate di squalifica. Il giornalista è invece Arlind Sadiku, anche lui albanese kosovaro, il quale durante una trasmissione in diretta si è rivolto ai tifosi serbi facendo il gesto dell’aquila bicipite, probabilmente come reazione a qualche parola di troppo dagli spalti. Al giornalista è stato in seguito ritirato l’accredito per i media di Euro 2024.

Il tema del ruolo dei calciatori nella lotta alla violenza e all’odio razziale nello sport è decisivo ed è stato sottolineato anche da  Zdenko Samardzija, professore croato di storia e filosofia, secondo cui le multe alle federazioni calcistiche servono a ben poco mentre servirebbe invece che i calciatori più importanti prendessero le distanze da tali atteggiamenti. “Questo deve finire, e può finire con coloro che sono stati dichiarati i migliori giocatori che vanno allo speaker dello stadio e dicono: ‘Non parteciperò a questo”, ha detto senza mezzi termini il professore.

Nulla di nuovo

Politica, nazionalismo e sport viaggiano spesso fianco a fianco e nei paesi balcanici questo connubio significa spesso eccessi di odio e violenza che trovano ispirazione nelle tragedie delle passato.

Episodi del genere non sono purtroppo una novità: tristemente celebre è la partita tra Albania e Serbia nel 2014, finita in rissa dopo l’arrivo in campo di un drone con una bandiera nazionalista albanese. Ma tanti, troppi, sono gli episodi di striscioni che esaltano criminali di guerra o portano messaggi nazionalisti e fascisti, o di calciatori che hanno fatto propri simboli provocatori o cori di chiara matrice discriminatoria. Una deriva che nemmeno in una vetrina importante come gli Europei di calcio ha trovato un argine.

Foto: Unsplash/Brondino

Chi è Andrea Mercurio

Ho 26 anni, sono laureato in Scienze Politiche, amo scrivere in ogni modo e in ogni forma. Sono appassionato di Storia e Attualità, da qualche anno mi sono interessato in particolare ai Balcani.

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