BOSNIA: Sarajevo ospita il suo quinto Pride

Sabato 22 giugno Sarajevo ha ospitato il quinto Pride della Bosnia Erzegovina, dove i diritti della comunità LGBTQIA+ devono ancora essere pienamente riconosciuti. Nonostante la candidatura all’UE paventi una sorta di – lieve – modernizzazione all’interno del paese, l’inclusione della minoranza arcobaleno sembra ancora un traguardo lontano.

Cinque anni di BiH Pride March

Sarajevo, 22 giugno 2024. Un’ondata arcobaleno ha colorato la capitale bosniaca per la BiH Pride March, la sfilata della comunità LGBTQIA+ per chiedere uguaglianza e inclusione. Accompagnato da musica, palloncini e bandiere arcobaleno, il corteo ha attraversato il centro della città lungo la via Titova, dalla Fiamma Eterna fino al Museo Storico, dove su un palco sono intervenuti gli organizzatori a sostegno di una società tollerante e libera da ogni forma di odio e discriminazione.

Il primo storico Pride di Sarajevo si tenne nel 2019, in un clima di proteste e tensioni portate avanti dagli oppositori della marcia. Secondo gli organizzatori della manifestazione, in questi cinque anni di Pride si è progressivamente giunti ad un alleggerimento della misure di sicurezza necessarie, e la polizia ha abbandonato quello che era un vero e proprio assetto da guerriglia per giungere all’attività di sorveglianza attribuita al suo ruolo, veicolando così nella coscienza collettiva, seppur gradualmente, il messaggio che la comunità LGBTQIA+ sta cercando di trasmettere alla società bosniaca da anni: la propria imprescindibile presenza nel tessuto sociale del paese.

Per far sì che questo accada è necessario sensibilizzare la popolazione promuovendo una società tollerante e inclusiva, libera da omofobia e transfobia, sia nelle città che nei piccoli centri rurali. L’augurio infatti è quello di poter organizzare, in un imminente futuro, la Pride March anche fuori Sarajevo, per dare un segno tangibile di supporto anche alle persone LGBTQIA+ che vivono in comunità più isolate e ostili, dove è più difficile abbattere i pregiudizi e le convinzioni discriminanti. Dopo tutto, la Pride March esiste anche e soprattutto per sottolineare i progressi che devono ancora essere fatti. Il quadro normativo del paese è migliorato negli ultimi anni, e la società bosniaca ha portato avanti una serie di iniziative legislative finalizzate al superamento delle disparità. Ciononostante in Bosnia persiste un clima di diffidenza se non, addirittura, di aperta ostilità verso la comunità LGBTQIA+. 

“Amo non aver paura”

Lo slogan per il Pride 2024 è Volim da se ne bojim (“amo non aver paura”), ideato per attirare l’attenzione sulla violenza e discriminazione che i membri della comunità LGBTQIA+ affrontano quotidianamente, con tutte le limitazioni che ne conseguono nella vita di tutti i giorni, sia come cittadini che come esseri umani. Lo slogan di quest’anno è dunque un inno alla libertà di amare senza timori. Perché non ci deve essere paura di amare, e si deve poter amare senza aver paura di niente.

E le stime offrono un panorama desolante in tal senso: a causa del loro orientamento sessuale e identità di genere le persone LGBTQIA+ sono infatti più soggette a episodi di violenza rispetto alla popolazione generale, sia in ambito domestico che negli spazi pubblici. Una violenza spesso normalizzata, minimizzata o ignorata dalle autorità competenti. Le risposte istituzionali alla violenza sono il più delle volte inadeguate o, peggio, inesistenti. Pur essendoci personaggi politici che sostengono la comunità LGBTQIA+ bosniaca nel cammino di emancipazione, non esistono partiti che includono ufficialmente la lotta per questi diritti nel proprio programma politico. Più spesso invece lo scenario politico, nell’ingarbugliato meccanismo bosniaco, è apertamente ostile ai diritti delle persone LGBTQIA+, preferendo che siano invisibili e assenti dalla vita pubblica. Basti pensare alla legge anti LGBTQIA+ proposta nel marzo 2023 da Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serba di Bosnia, quando un gruppo di Hooligan attaccò degli attivisti LGBTQIA+ nel centro di Banja Luka, capitale amministrativa della RS, dopo che la polizia aveva vietato un dibattito e la proiezione di un film sui diritti umani delle persone LGBTQIA+. 

Gli ostacoli da abbattere e i nuovi orizzonti europei

La situazione dei diritti della comunità LGBTQIA+ in Bosnia Erzegovina è critica, e riflette il panorama etno-politico del paese; nonostante i timidi progressi compiuti, il percorso per il pieno riconoscimento dei diritti della comunità LGBTQIA+ in Bosnia ed Erzegovina sembra ancora tortuoso, e gli ostacoli per raggiungere l’uguaglianza sono numerosi. Primo fra tutti il mancato riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. Ma anche il complesso iter di transizione a cui le persone transgender devono sottoporsi per cambiare legalmente sesso.

Il via libera ai negoziati per l’adesione all’UE ottenuti a marzo dalla Bosnia potrebbe accelerare l’approvazione di alcune leggi, come la legalizzazione delle unioni tra persone dello stesso sesso. Tuttavia, lo stato dei diritti della comunità LGBTQIA+ è assai traballante anche all’interno dell’Unione stessa, specialmente in alcuni paesi membri. In tal senso, è emblematica la sentenza CEDU del caso Oliari, quando Strasburgo condannò l’Italia per aver violato il diritto al rispetto della vita privata e familiare di tre coppie omosessuali. 

È ancora presto per sapere con certezza se il percorso di integrazione nell’UE potrà consolidare i progressi compiuti finora in Bosnia ed Erzegovina, permettendone un’ulteriore evoluzione, perché l’Europa stessa è alle prese con le stesse lotte per l’integrazione e il riconoscimento dei diritti di una minoranza dei suoi cittadini, o aspiranti tali. Quel che è certo, è che una società matura, plurale e inclusiva si misura attraverso la sua capacità di tutelare i diritti di tutti i cittadini indipendentemente dalla loro etnia, identità di genere, orientamento sessuale, religione, credo politico.

Alcuni partecipanti alla sfilata hanno dichiarato: “siamo qui, viviamo, lavoriamo e siamo parte della società”. La Pride March non getta luce solo sulle questioni LGBTQIA+, ma solidarizza anche con altre questioni sociali pressanti, come i diritti delle donne, delle persone con disabilità, dei migranti, dei lavoratori, della comunità Rom. In Bosnia insomma si continua a combattere la battaglia più difficile: quella per la convivenza, l’inclusione, la tolleranza, l’uguaglianza. A Sarajevo si è urlato a gran voce che nessuno è davvero libero finché non lo siamo tutti. Liberi di amare, senza avere più paura. 

Foto: Paolo Garatti

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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