I polacchi e la Liberazione d’Italia. Storia di Wojtek l’orso

Il 14 aprile del 2015 in un parco di Imola è stato collocato il monumento di un simpatico orsetto che prova a salire su alcuni gradini bianchi. Sotto una zampa schiaccia con una certa grazia un berretto militare con i fregi del Secondo Corpo d’armata polacco; di fianco l’intitolazione: Wojtek l’orso diventato soldato. Esattamente settant’anni prima i soldati del Secondo corpo d’armata, guidato dal generale Władysław Anders, entravano a Imola liberando la città dai nazi-fascisti. Wojtek, orso nato in Iran nel 1941, era al fianco di quei soldati, egli stesso soldato, arruolato nella 22° Compagnia rifornimenti di artiglieria affinché gli fosse concesso il visto per imbarcarsi verso l’Italia. Una storia bella la sua, che parte da molto lontano.

Occorre risalire all’accordo nazi-sovietico Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939, in seguito al quale, nel settembre dello stesso anno, la Polonia è invasa e spartita fra tedeschi e sovietici. Inizia così un’occupazione molto cruenta non solo da parte nazista. Centinaia di migliaia di polacchi della parte orientale subiscono il trasferimento forzato verso le zone più impervie della Siberia. È in questo contesto che circa 22.000 ufficiali polacchi sono prima arrestati e reclusi e, nella primavera del 1940, trucidati a Katyń e in altre località.

Con l’invasione dell’Unione Sovietica il 22 giugno 1941 le sorti di alcuni dei polacchi sopravvissuti agli eccidi e al gulag subiscono fortunatamente un netto cambiamento di rotta. Grazie all’assenso di Stalin e all’accordo sottoscritto tra il generale polacco Sikorski e l’ambasciatore sovietico a Londra Majskij viene creata un’Armata polacca costituita da ex deportati e posta sotto il comando del generale Władysław Anders.

Anders, sfuggito a Katyń insieme ad altri alti ufficiali, aveva trascorso un terribile periodo di detenzione alla Lubjanka a Mosca, ma ora le conseguenze imprevedibili della storia gli concedevano una seconda possibilità. I primi militari arruolati nell’Armata sono 76.000; il generale Anders, con eccezionale determinazione e difficili trattative con Stalin, che provava comunque molta stima nei confronti delle sue capacità e competenze militari, riesce ad aggregare ai militari 39.000 civili, donne, anziani, bambini. Nonostante le resistenze sovietiche, costituisce anche un’unità ausiliaria femminile salvando in questo modo la vita a numerose giovani donne. Il Secondo Corpo d’armata polacco – denominazione assunta nel 1943 dall’unità tattica destinata al fronte ­­– giunge in Italia nel dicembre 1943, dopo un lungo itinerario iniziato nel 1941 attraverso le repubbliche asiatiche dell’Unione Sovietica e continuato con il trasferimento dell’Armata in Iran nel 1942 e gli addestramenti in Iraq e Palestina nel 1943.

Due episodi degni di segnalazione toccano i trasferimenti dell’esercito polacco in Asia. Il primo riguarda Wojtek. Nella primavera del 1942 i primi militari e civili si erano sistemati in Iran. Un giorno arriva presso un accampamento un ragazzo con un sacco sulle spalle, sta cercando di fare affari: in cambio di generi alimentari cede un orsetto abbandonato dalla mamma. I soldati, dopo brevi consultazioni, accettano e da quel momento fino alla fine della guerra Wojtek diventa la mascotte più amata della Seconda guerra mondiale.

Nell’agosto del 1943 il Secondo Corpo d’armata si trasferisce in Palestina. Su 4000 soldati di origine ebraica presenti ben 3000 scelgono la diserzione per arruolarsi nell’Irgun, l’organizzazione clandestina che si batte contro il Mandato britannico, ostile alla fondazione dello stato israeliano. A capo dei disertori c’è Menachem Begin, futuro primo ministro di Israele dal 1977 al 1983 e Premio Nobel per la Pace nel 1977. Anders, nonostante le pressioni britanniche, non si oppone alla diserzione dei suoi militari, consapevole della sorte degli altri ebrei in Europa e riconoscendo loro il diritto a combattere per la fondazione di uno stato proprio.

Quando il Secondo Corpo giunge in Italia è inquadrato nell’Ottava Armata britannica e fino ad aprile è schierato lungo il fiume Sangro. A maggio, al termine della quarta battaglia di Montecassino, i polacchi conquistano diversi punti strategici e alle 9.45 del 18 maggio giungono sulle rovine dell’abbazia. La Linea Gustav è sfondata e agli Alleati si apre la strada verso Roma, liberata il 4 giugno. Nel corso dell’estate i polacchi avanzano verso Ancona, che liberano in assoluta autonomia, e, dopo il lungo inverno del 1945, il 21 aprile il Nono battaglione della Terza divisione fucilieri dei Carpazi del Secondo Corpo d’armata libera Bologna, accolto da una folla di cittadini festanti.

Si tratta della conclusione trionfale di un’eroica e dolorosa epopea contemporanea che cela però conseguenze molto gravose sui suoi protagonisti. Tra le file dei militari si contano 4000 morti e 9000 feriti, ma più di tutto, per i soldati di Anders, è traumatizzante comprendere che difficilmente potranno fare ritorno nella Polonia liberata dai nazisti, ma già sotto l’influenza dei sovietici, ostili nei confronti di militari non comunisti, che hanno combattuto all’estero a fianco degli Alleati. Anche fra i polacchi e i comunisti italiani non mancano episodi di violenza, che si chiudono talvolta con morti e feriti da entrambe le parti. Fortunatamente si tratta di casi isolati anche grazie alla mediazione del generale Anders, che invita i suoi soldati a moderare i toni e a mantenere la calma.

Su 112.000 soldati effettivi soltanto 15.000 tornano in Polonia, gli altri si stabiliscono in Italia e in Gran Bretagna, dove viene smobilitato il Secondo Corpo, mentre molti altri emigreranno verso l’America del Nord e del Sud, l’Australia, l’Africa e l’Europa occidentale. Wojtek, che ha superato indenne i combattimenti più cruenti, i cambiamenti di clima e le sgridate affettuose dei soldati per le sue marachelle, morirà presso lo zoo di Edimburgo nel 1963.

Derek Tangye nell’introduzione al libro Wojtek, soldier bear di Morgan e Lasocki, edito in Italia nel 2010, ha provato a spiegare il senso profondo della presenza di Wojtek fra i soldati polacchi e il grande affetto che seppe raccogliere su di sé: «Ma perché le autorità permisero a Wojtek di essere lì? La logica non giustifica la sua presenza al fronte. A volte le sue bizzarrie, buffe da vedere, erano di grande disturbo, come quando salì su una gru mobile e bloccò un convoglio britannico di ritorno dal fronte. Allora perché lo accettarono? La verità è che il confine tra vittoria e sconfitta sia in guerra che in pace è molto labile e di solito dipende da come le persone gestiscono le proprie emozioni. Wojtek, con quel suo strano modo, creava emozioni positive tra i soldati attorno a sé, tanto da diventare simbolo delle loro famiglie e delle loro terre lontane. Ecco perché gli fu permesso di restare».

Chi è Donatella Sasso

Laureata in Filosofia con indirizzo storico presso l’Università di Torino. Dal 2007 svolge attività di ricerca e coordinamento culturale presso l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino. Iscritta dal 2011 all’ordine dei giornalisti. Nel 2014, insieme a Krystyna Jaworska, ha curato la mostra Solidarność nei documenti della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano. Alcune fra le sue ultime pubblicazioni sono: "La guerra in Bosnia in P. Barberis" (a cura di), "Il filo di Arianna" (Mercurio 2009); "Milena, la terribile ragazza di Praga" (Effatà 2014); "A fianco di Solidarność. L’attività di sostegno al sindacato polacco nel Nord Italia" (1981-1989), «Quaderni della Fondazione Romana Marchesa J.S. Umiastowska», vol. XII, 2014.

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