Cipro e la guerra del gas. I destini del Medio Oriente

Caccia israeliani pattugliano i cieli di Cipro, una corvetta francese controlla le acque intorno all’isola dove già sarebbe presente un sottomarino russo al quale, fra qualche settimana, dovrebbe unirsi nientemeno che una portaerei inviata da Mosca. E poi navi greche e turche al largo dove piattaforme americane trivellano i fondali. Che accade nel Mediterraneo orientale? Sotto i fondali marini si sono scoperti 122 trilioni di piedi cubi di gas naturale. Una quantità – secondo il report 2011 ‘World Energy’ della British Petroleum – di molto superiore agli 86.2 trilioni di piedi cubi che costituiscono oggi le riserve di tutti Paesi dell’Ue messi insieme. Ecco che accade.

 Nell’occhio del ciclone è il quadrante 12 (detto ‘Afrodite’) nella Zona Economica Esclusiva (Zee) della Repubblica di Cipro dove si trova la piattaforma ‘Homer Ferrington’, della compagnia texana Energy Noble, la quale ha avviato prospezioni di idrocarburi nelle acque cipriote su mandato di Nicosia. L’escalation di tensione nel Mediterraneo orientale, che vede protagoniste Israele, Cipro e Turchia, si deve dunque a questioni energetiche destinate a mutare gli assetti geopolitici del Medio Oriente, incrinando i rapporti tra Ankara e Atene e destando la viva preoccupazione di Bruxelles che, nella questione, parteggia per Nicosia. Per capire meglio la questione occorre fare un passo indietro.

A fine dicembre 2010 la texana Noble Energy, in partnership con le israeliane Delek Energy e Avner Oil Exploration, avevano confermato l’esistenza di almeno due enormi giacimenti di gas naturale nelle acque del Mediterraneo Orientale. Una notizia destinata a far fibrillare le cancellerie mediorientali che già da tempo stavano con l’orecchio teso. E’ infatti dal 1998 che la Noble Energy trivella i fondali al largo di Israele ed è proprio nelle acque israeliane che, in quell’anno, scoprì il giacimento detto Mary-B. I lavori di analisi e trivellazione sono durati per anni nella convinzione che un grande giacimento di idrocarburi si estendesse da Israele alla Grecia. Nel gennaio 2009, la società Noble Energy e suoi partner, Delek Drilling, Avner Oil & Gas Ltd, Isramco, e Gas Dor Exploration, hanno segnalato la presenza di gas naturale nel giacimento Tamar-1 al nord della costa di Haifa, in Israele. Da quel momento in poi si susseguono le scoperte: dopo Tamar-1, le società hanno portato alla luce il giacimento Dalit e, lo scorso 3 giugno, quello di Leviathan. La Noble ha annunciato la presenza di 453 miliardi di metri cubi di gas nelle riserve del giacimento di Leviathan e 228 miliardi in quelle di Tamar-1. I giacimenti di Leviathan e Tamar si estendono sotto le acque tra Cipro, le coste siriane, libanesi ed ovviamente israeliane. Dal momento della scoperta la tensione è salita alle stelle.

Israele ha dovuto muoversi con rapidità per mettere le mani su giacimenti che potrebbero non solo garantirle l’autonomia energetica ma farne persino un esportatore di combustibili di livello regionale. Una regione turbolenta, però. Con Cipro è stato facile: a metà dicembre 2010 è stata concordata la demarcazione del confine marittimo tra i due Paesi e  soprattutto le zone di esplorazione ed estrazione e le zone economiche esclusive. Secondo la Carta che regola il diritto marittimo (Unclos) ogni Stato può sfruttare le risorse delle acque internazionali fino a 200 miglia nautiche dalla propria costa. Quindi molto oltre le acque territoriali. Israele e Cipro però sono distanti tra loro appena 260 miglia. In ottemperanza alle regole internazionali si è reso necessario definire una linea mediana tra le acque di pertinenza dei due Paesi.

Cipro e Israele hanno presto provveduto a ratificare analoghi accordi con l’Egitto e la Giordania mentre il governo di Tel Aviv ha fissato unilateralmente una linea con la striscia di Gaza. Il Libano ha avvertito Israele di non azzardarsi a toccare nemmeno un centimetro delle acque territoriali libanesi interessate, in misura minore, dalla presenza di giacimenti. L’osso più duro è stato però la Turchia.

Il governo di Ankara sta giocando in politica estera, sotto la guida del ministro Davutoğlu, una partita su più livelli che ha visto la Turchia recentemente protagonista dellespulsione dell’ambasciatore israeliano ad Ankara a seguito dei fatti della Mavi Marmara, del trionfale tour di Erdogan nei paesi delle “primavere arabe”, nonché della forte campagna diplomatica per il riconoscimento dello stato palestinese in sede Onu che, al momento, ha portato all’ingresso nell’Unesco. A questo si devono aggiungere le tensioni con la Siria, l’invasione dell’Iraq del nord (a caccia delle basi del Pkk curdo) e non da ultimo la questione cipriota che ha portato alla minaccia di congelamento delle relazioni con l’Ue nel caso il governo di Nicosia assumesse la guida di turno dell’Unione nel secondo semestre 2012.

La questione cipriota affonda le radici nell’invasione turca del 1974 a seguito del colpo di Stato ordito dalla Grecia dei Colonnelli. Da allora l’isola è divisa in due parti: quella greco-cipriota, oggi membro dell’Unione Europea, e quella turco-cipriota riconosciuta solo da Ankara. In questo contesto l’avvio delle trivellazioni da parte di Cipro sud non potevano che scatenare la reazione turca: Ankara teme l’evidente rischio che Turchia e Cipro nord vengano tagliate fuori dai benefici e dai proventi della torta energetica. Una torta che Israele, Cipro, Grecia ed Egitto hanno già provveduto a spartirsi. La reazione del ministro Davutoğlu non si è fatta attendere.

Il 21 settembre scorso un comunicato del ministero degli Esteri turco anticipava la sigla di un accordo di delimitazione delle piattaforme territoriali tra la Turchia e la repubblica di Cipro Nord, stipulato tra Erdoğan ed il presidente della repubblica di Cipro Nord, Derviş Eroğlu Un atto dovuto “dal momento che l’Amministrazione greco-cipriotaha iniziato l’attività di perforazione il 19 settembre” recita il comunicato che conclude: “[l’amministrazione greco-cipriota, ndr] occorre che sospenda l’attività di perforazione in nome della pace e della riconciliazione invece di sprecare le proprie energie nel creare tensioni. Sarà così possibile giungere a una soluzione duratura che possa fare del Mediterraneo orientale uno spazio di cooperazione assicurando che le risorse naturali di Cipro siano equamente condivise dai due popoli dell’isola”.

Le rivendicazioni turche sono ritenute pretestuose dal governo di Nicosia – ma anche dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti – poiché Ankara non ha mai voluto ratificare l’Unclos, la carta che regola il diritto marittimo. Malgrado ciò il presidente greco-ciprota, Dimistris Christofias, il 22 settembre scorso, si disse pronto a condividere con i turco-ciprioti i proventi delle attività energetiche. Una posizione che ha suscitato l’apprezzamento dei turco-ciprioti e che ha valso la promessa della ripresa dei negoziati bilaterali per la riunificazione dell’isola dopo la plenaria Onu.

Solo il giorno successivo, però, il primo ministro Erdogan, partecipando alla cerimonia di consegna della prima nave da guerra integralmente turca, ha riaffermato con forza dalle colonne dell’Hürriet il diritto turco a difendere i propri interessi marittimi, ivi compresi quelli energetici, mentre la motonave esplorativa Piri Reis entrava nelle acque del quadrante 12 ‘Afrodite’ a sud di Cipro, ad una sessantina di km da dove i partner israeliani ed americani dei greco ciprioti stanno trivellando. Non solo, ad accompagnarla tre sottomarini e tre fregate (la ‘Salih Reis’, la ‘Sokullu Mehmet Pasa’ e la ‘Oncu’) una delle quali si ancora pochi giorni dopo a sei miglia al largo della costa sud-occidentale di Cipro. Segno che quello che preme ad Ankara non è tanto la riunificazione di Cipro o i diritti della popolazione turca dell’isola (che paiono più che altro strumentali), quanto la possibilità di mettere le mani sui giacimenti. In caso contrario i sogni di Ankara di affermarsi quale potenza regionale rischierebbero di svanire in un brusco risveglio.

Il gas naturale del Mediterraneo orientale ha ridestato gli appetiti dell’orso. Il gigante russo dell’energia Gazprom sarebbe interessato ad ottenere i diritti per la ricerca di riserve sottomarine di gas naturale della zona economica esclusiva di Cipro, al largo della costa meridionale dell’isola. Secondo quanto reso noto dalla Famagusta Gazette, Gazprom sarebbe già pronta ad avviare prospezioni in due zone off-shore nei pressi del lotto 12 ‘Afrodite’ mentre il prossimo 19 novembre la portaerei russa ‘Ammiraglio Kuznetsov’ salperà le ancore dalla sua base nel mare di Barents insieme con diverse altre unità navali diretta a Cipro. Secondo il quotidiano, la portaerei trasporta ventiquattro caccia ad ala fissa e diversi elicotteri.

Il traffico nel Mediterraneo orientale si sta facendo intenso e il numero di mezzi aerei e navali dispiegati fa salire la tensione per quella che alcuni analisti hanno già ribattezzato la “guerra fredda di Cipro”. Non a caso Afrodite era amante di Ares, il dio della guerra, che sulle millenarie acque greche ancora sembra pronto a soffiare il vento della battaglia.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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